Al Teatro Verga, “L’ONORE PERDUTO DI KATHARINA BLUM”

Dal romanzo di Heinrich Böll, adattamento di Letizia Russo regia di Franco Però con Elena Radonicich, Peppino Mazzotta e la Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.

simonediluca_katharina blum_trieste_8803

CATANIA – Un avvincente giallo che – oggi più che mai – appare come un’antesignana critica al mondo della comunicazione, fra fake news e “macchine del fango”: questo e molto altro ritroviamo nel romanzo capolavoro “L’onore perduto di Katharina Blum” di Heinrich Böll. L’idea di portarlo dalla pagina alla scena è di Franco Però – regista e direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia – che ne ha riconosciuto la forza e l’incisività con cui “parla” al nostro presente, e ne ha affidato l’adattamento a Letizia Russo, autrice molto colta e ispirata. Dopo il debutto in prima nazionale al Politeama Rossetti di Trieste, lo spettacolo approda dal 29 ottobre al 3 novembre al Teatro Verga di Catania, per proseguire la tournée nazionale fino a gennaio. Franco Però dirige nei ruoli dei protagonisti Elena Radonicich e Peppino Mazzotta. È una coproduzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con gli Stabili di Napoli e Catania.

In una scenografia che gioca con simultaneità, opacità, trasparenze, improvvise illuminazioni, e che metaforicamente allude al rigore della protagonista, si muovono i personaggi de “L’onore perduto di Katharina Blum”: spettacolo tratto dall’omonimo romanzo breve, graffiante, sorprendentemente antesignano che Heinrich Böll pubblica nel 1974.

Elena Radonicich nel ruolo del titolo e Peppino Mazzotta (l’avvocato Hubert Blorna) – ottimi attori di teatro, che il grande pubblico conosce per i ruoli sostenuti al cinema e in fortunate fiction (per lei “La porta rossa”, lui è l’ ispettore Fazio de “Il commissario Montalbano”) – sono niati da alcuni attori di riferimento dello Stabile: Emanuele Fortunati (Alois Sträubleder), Ester Galazzi (Trude Blorna), Riccardo Maranzana (Werner Tötges, giornalista), Francesco Migliaccio (Erwin Beizmenne, commissario capo), Jacopo Morra (Walter Moeding, commissario assistente), Maria Grazia Plos (Else Woltersheim, madrina di Katharina).

L’autore tedesco, Premio Nobel per la letteratura, usa nel romanzo la forma del giallo, ma costruendo la trama a partire dal fatto già avvenuto e ricostruendo ogni sviluppo in un continuo muoversi avanti e a ritroso nella storia: un andamento che anche lo spettacolo assume, avvincendo lo spettatore in un continuo gioco di rivelazioni e scoperte.

La storia racconta di una giovane donna, integerrima, rimasta suo malgrado invischiata in un’indagine di polizia: la sua vita viene data in pasto alla stampa scandalistica, che cavalca il gusto voyeuristico di una massa di benpensanti pronti a fare propria ogni menzogna e manipolazione.

Ecco che in un tempo – il nostro – dove è molto acceso il dibattito sulla deontologia giornalistica, e in cui assistiamo troppo spesso allo scatenamento della cosiddetta “macchina del fango”, alla circolazione di fake news, amplificate da vecchi e nuovi media, il portato di questo spettacolo si carica di induzioni e riflessioni necessarie.

L’irreprensibile e prüde segretaria Katharina Blum incontra ad un ballo di carnevale Ludwig Götten, un piccolo criminale, sospetto terrorista. Trascorre la notte con lui, se ne innamora, e l’indomani, non del tutto consapevole della situazione, ne facilita la fuga. Katharina viene brutalmente interrogata dalla polizia con la quale collabora solo in parte. Lo spietato giornalista Werner Tötges, violando ripetutamente la privacy di Katharina e manipolando le informazioni raccolte, ne fa prima una complice del bandito e poi una vera e propria estremista, distruggendo la sua vita e minandone gravemente le relazioni sociali. Lo Stato, la polizia non la sanno difendere, e rimasta offesa, emarginata, Katharina Blum si vendica uccidendo il giornalista Tötges, e si costituisce alla polizia.

Il tema è carico di tensione drammatica, ma Böll lo tratta con l’arma dell’ironia, parodiando il linguaggio della stampa scandalistica, con i suoi luoghi comuni, le moralizzazioni spicciole, le espressioni alla moda, la sua piattezza intrinseca. Forme di violenza e di superficialità di una incredibile attualità, come attuali ci appaiono tutti i personaggi, tratteggiati con profondità introspettiva e precisione.

«(…) Chi si serve pubblicamente delle parole mette in movimento mondi interi e nel piccolo spazio compreso tra due righe si può ammassare talmente tanta dinamite da far saltare in aria questi mondi» scriveva Heinrich Böll nel 1959: una riflessione che oggi vale come allora, con la differenza che la “dinamite” può celarsi anche fra i pochi, precipitosi caratteri di un “tweet”.

a Cognita Design production
Torna in alto