28 marzo 1941, 80 anni fa moriva la scrittrice inglese femminista Virginia Woolf

Le opere della scrittrice e saggista, nonché importante esponente della letteratura inglese, sono state tradotte in più di cinquanta lingue.

Virginia Woolf (nome da nubile: Adeline Virginia Stephen) nacque nel 1882 a Kensington, un quartiere di Londra, ed è considerata una figura autorevole della letteratura inglese novecentesca. Oltre ad essere una talentuosa scrittrice di fama mondiale, fu anche un’attivista impegnata nella lotta per la parità dei sessi. Fece parte del Bloombury group, ossia un gruppo letterario di allievi inglesi che si riunivano nelle proprie case.

Virginia fu figlia d’arte, poiché il padre fu anch’egli uno scrittore. L’uomo fece in modo che i suoi figli crescessero in un ambiente letterario. Ella si trasferì con la madre, ma non le fu permesso di frequentare nessun istituto scolastico per via della sua particolare educazione. La madre stessa cercò di darle indirettamente lezioni di latino e francese, mentre il padre le diede l’opportunità di poter leggere i libri della sua biblioteca.

La giovane scrittrice e il fratello Thoby, dato il loro profondo interesse per la letteratura, fondarono un giornale domestico dal titolo Hyde Park Gate News, in cui venivano raccontate storie di fantasia (una sorta di diario familiare). I momenti felici della sua vita non ebbero lunga vita, perché all’età di tredici anni dovette fare i conti con la morte della madre. Anche il padre rimase traumatizzato dalla perdita della moglie. A partire dal 1897 fino al 1901, Virginia studiò storia e lettere classiche al King’s College London. Durante il suo primo anno accademico, morì la sorella, seguita poi dal padre. Queste gravi perdite, le causarono un pesante crollo nervoso. Come racconta l’autobiografia “Momenti di essere e altri racconti”, sia lei che la sorella subirono degli abusi sessuali da parte dei fratellastri, cosicché cominciò a soffrire di disturbo bipolare, crisi maniaco-depressive, esaurimenti nervosi e sbalzi di umore. Nel 1905 iniziò a scrivere per il supplemento letterario del Times e conobbe gli intellettuali Ludwig Wittgenstein, Bertrand Russell, Edward Morgan Forster e il teorico della politica Leonard Woolf, colui il quale diventò il marito. Nel 1913 ricadde in depressione e tentò il suicidio. Il marito cercò di aiutarla proponendole di fondare un’impresa editoriale, che ebbe il nome di Hogarth Press. Nel 1915 pubblicò il suo primo libro, “The Voyage Out”. Inoltre, le relazioni che ebbe con alcune donne, influenzarono molto le sue opere. Virginia diede ripetizioni serali alle operaie in un collegio della periferia, avvicinandosi  ai gruppi delle suffragiste (movimento di emancipazione femminile) e pubblicando le prime critiche letterarie.

La sofferenza della scrittrice si fece sempre più insopportabile, così, il 28 marzo del 1941 scelse la via del suicidio. Si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse. Prima di morire, scrisse una straziante lettera di addio al marito Leonard:

«Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.» (Virginia Woolf)

Il suo corpo venne cremato e seppellito sotto un olmo nel giardino di Monk’s House, nell’East Sussex, in Inghilterra.

Tra le opere più celebri della carismatica Woolf, abbiamo “Mrs. Dalloway” (1925), “Gita al faro” (1927) e “Orlando” (1928), romanzi in cui utilizzò la tecnica narrativa del “flusso di coscienza” (stream of consciousness). Questa pratica consiste nel rappresentare i pensieri di una persona per come sono realmente, ovvero senza preoccuparsi della coesione sintattica o della punteggiatura. Il linguaggio usato è pieno di similitudini e metafore.

«Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai..»

(Virginia Woolf)

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