Intervista a Fabrizio Catalano, regista e drammaturgo di grande fama e nipote di Leonardo Sciascia

Fabrizio Catalano presenta il suo ultimo film dal titolo “Irregular” fatto con la collaborazione di Fatima Lazarte che stigmatizza una delle tradizioni andina: la “curandera”, una saggia donna che ama la natura e studia le proprietà delle piante e i loro benefici sull’essere umano.

Fabrizio Catalano, regista di  grande successo, ha diretto molti spettacoli tratti dalle opere  di suo nonno Leonardo Sciascia. Vive tra la Bolivia, Roma  e Palermo, sua città di nascita. In questa intervista ci racconta la sua ultima fatica: il docufilm che mette in risalto la figura della donna curandera che rappresenta la figura moderna  del guaritore sciamano. E’ una persona  da cui la gente va a curarsi fisicamente e per tenere lontani gli “spiriti cattivi”. Il docufilm  è stato curato  insieme a Fátima Lazarte. Perché hai deciso di stare per adesso in Bolivia, un paese molto affascinante ma lontanissimo dalla tua Sicilia?

“Potrei rispondere con una battuta: forse proprio perché avevo bisogno di qualcosa di diverso e lontano. In realtà, e al di là del fatto che vivo lontano dalla Sicilia quasi da tre decenni, io, come molti altri cittadini di buon senso, sono rimasto profondamente turbato da ciò che è accaduto in Italia e in quasi tutta Europa negli ultimi tre anni: la gente ha tollerato, accettato, in alcuni casi perfino auspicato una deriva repressiva della società, cosa che mi appare folle e inammissibile. Avverto ormai, con molte persone, una sorta di incomunicabilità. E credo che quello del perdono sarà uno dei grandi temi dei prossimi anni, ammesso che la disintegrazione della società europea non sopraggiunga prima. Tutti noi avremmo il dovere di cercare soluzioni alternative”. 

Fatima, questo docufilm si intitola Irregular, perché?

“Fátima Lazarte: Questo lavoro, che noi abbiamo scelto di definire pamphlet audiovisivo, s’intitola “Irregular”, e racconta la diversità del mondo femminile, riflettendo sugli stereotipi costruiti attorno alla donna negli ultimi anni e provando a rimetterli in discussione. Si tratta di una sorta di prodotto ibrido: interviste a donne appartenenti a contesti sociali e località differenti, di diverse età e con distinte visioni della vita si mescolano a scene oniriche, fantastiche, con danze evocative, spesso girate in location mai raggiunte prima dal cinema. Il film, che nasce da due anni di intenso dialogo, teorizza una società non omologata, declinata al femminile, senza competizione né gerarchie, idealizzando le antiche culture matriarcali”.

Mettere in risalto le donne boliviane che amano la natura e i suoi “segreti” ed in generale mettere in risalto le donne di ogni nazione che cercano di aiutare chi ha bisogno  non soltanto fisicamente ma anche  e soprattutto psicologicamente è un modo degno per valorizzare le donne buone e sagge che da sempre  esistono in ogni paese. Fatima e Fabrizio avete giustamente voluto parlare delle Curandere donne che hanno raccolto e fatto proprio le tradizioni di chi le ha precedute?

“La figura che principalmente mettiamo in risalto è quella della strega. Questo termine però non va inteso nella sua accezione europea: nella tradizione andina, la strega non è una donna malvagia, ma una “curandera”, una saggia che conosce i segreti della piante e della natura, in constante comunicazione con un mondo spirituale che per noi convive con la realtà. Questo lavoro riflette sulla possibilità di essere liberi, vivere al di là delle imposizioni sociali, senza sensi di colpa, esplorare, conoscere, approcciarci a diverse concezioni; e crediamo che il femminile sia una strada per avvicinarci a questo mistero, all’enigma. Perché ogni donna è in se stessa un enigma”.

“Soltanto i fatti contano, soltanto i fatti devono contare, noi siamo quel che facciamo”. Questa frase è una delle tante che tuo nonno Leonardo Sciascia ha detto e che racchiude parte del suo percorso di studi, di vita e di esperienze. Tu che cosa ne pensi di questa frase e che pensieri vuoi aggiungere a questo sopra citato?

“Superfluo precisare che sono pienamente d’accordo. Come Sciascia aveva previsto e temeva, viviamo – il più delle volte, vegetiamo – in società che tendono a perdere la memoria. Ma una società senza memoria, senza etica, senza intelligenza e sensibilità è destinata allo sfacelo. Noi siamo quel che facciamo; e probabilmente quel che facciamo da qualche decennio è piuttosto poco. Questo vale per i grandi temi – politici, sociali, esistenziali – ma anche – esempio fin troppo facile – per i nostri mestieri: i registi, i giornalisti, tutti coloro che scrivono. Non facciamo abbastanza; anzi: in molti prevale un’ansia di quieto vivere, addirittura una vigliaccheria, che ci fa rimpiangere l’Italia della fine del secolo scorso: che sì aveva tanti problemi, ma dove almeno si poteva essere urticanti e politicamente scorretti. 

Quali sono le altre tradizioni della terra boliviana che vi sembrano più affascinanti e perché?

“Provenendo, risponde Fabrizio,  da una società non solo materialista ma scandalosamente attaccata al superfluo, quello che più mi colpisce e mi affascina nella società boliviana, e in verità soprattutto andina, è questo approccio magico all’esistenza. Qui il sovrannaturale è parte della quotidianità, e riti ancestrali convivono con grattacieli luminescenti. Gli esseri umani, ribadisce Fatima, sulle Ande, considerano molto importante il rapporto con gli antenati. Questo avviene tanto nelle aree rurali come in città, e attraversa tutti gli strati sociali, generando, per esempio, uno sguardo più conciliante verso la morte, la cui idea non ci opprime né ci fa paura, e che è presente in varie tradizioni, come la “challa”, che è una cerimonia di ringraziamento alla Pachamama in cui si brucia un’offerta che a volte comprende un feto essiccato di lama, o quella di conservare un cranio umano, chiamato “ñatita”, al quale garantisci cibo, foglie di coca, alcool, sigarette e fiori affinché ti protegga”.

Pensi un giorno di potere ritornare in Sicilia, credi che   i tempi non sono maturi e perfettamente in sintonia con il tuo modo di vedere la politica e la società, perché?

“Sono già in procinto di tornare a Roma; e prima o poi tornerò anche in Sicilia. Mi chiamano nuovi progetti lavorativi, tanto al cinema che in teatro. E poi non riesco a rinunciare a lottare. A torto o a ragione, non posso rimanere in silenzio, né fuggire, di fronte alle aberrazioni del continente in cui sono nato”.

Fabrizio Catalano (Palermo, Italia). Regista e drammaturgo, dopo aver diretto diversi documentari e cortometraggi, si è dedicato prevalentemente al teatro, riscuotendo un notevole successo di pubblico e di critica con alcuni spettacoli tratti dalle opere del nonno Leonardo Sciascia, spietati verso le derive della società contemporanea. È stato per tre anni direttore artistico del Teatro Regina Margherita di Racalmuto. È anche autore di tre romanzi (Una goccia d’ambra nella neve, La profanazione del pudore, Le viole dagli occhi chiusi), di un pamphlet contro le derive dell’arte contemporanea (L’immaginario rubato), di numerosi articoli e saggi brevi. Si è a lungo occupato di Simbolismo e ha tradotto dal francese liriche e testi teatrali di Charles Van Lerberghe, Georges Rodenbach, Émile Verhaeren, Auguste de Villiers de l’Isle-Adam.

Fátima Lazarte (La Paz, Bolivia). Ballerina professionista e ricercatrice nelle aree tematiche della letteratura, della cultura e dell’arte. Come ballerina ha interpretato ruoli principali e da solista in opere classiche e moderne. Come insegnante di danza classica, specializzata nella tecnica e nel repertorio, ha lavorato in scuole pubbliche e private, e attualmente svolge il ruolo di direttrice artistica nello studio Summa Artis. Ha pubblicato saggi ed articoli letterari, riscoprendo l’opera di scrittrici boliviane del XX secolo, come Virginia Estenssoro e Yolanda Bedregal.

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