Il bruco che mangia la plastica e salva l’ambiente

Il bruco, che contribuirà sull’eco – sostenibilità del pianeta, è una larva della farfalla “Galleria mellonella” usata dai pescatori come esca, con il nome di camola del miele o come anticongelante.

Galleria-mellonella-535x300

Un bruco, peraltro dei più diffusi, salverà il mondo dall’inquinamento!

E’ la larva della comune farfalla Galleria mellonella, volgarmente detta camola del miele, che secondo un gruppo di ricercatori del dipartimento di Biochimica dell’Università di Cambridge, coordinati dall’italiano Paolo Bombelli e dal prof. Christopher Howe, sarebbe in grado di biodegradare il politilene, il più diffuso tipo di plastica ed anche uno dei più difficili da smaltire.

La scoperta è avvenuta per caso, grazie a un’osservazione della biologa ed apicultrice italiana Federica Bertocchini, ricercatrice presso l’Istituto di Biomedica e Biotecnologia dalla Cantabria (CSIC), che sta conducendo l’esperimento in collaborazione con la prestigiosa università britannica, che nel rimuovere le larve delle tarme della cera, altro nome dato al parassita, dalle sue arnie le ha riposte temporaneamente in un sacchetto di plastica, che in poco tempo si è riempito di buchi. Così la ricercatrice ha riposto un centinaio di larve vicino a una busta di plastica, registrando già dopo qualche decina di minuti la comparsa dei primi buchi e dopo 12 ore una diminuzione della massa della plastica del 13%.

La sorpresa dei ricercatori è stata ancora maggiore nel riscontrare che il bruco, comunemente usato dai pescatori come esca, non solo ingeriva la plastica ma addirittura la trasformava chimicamente in glicole etilenico, un composto organico molto usato come anticongelante.

La Galleria mellonella depone le sue uova all’interno degli alveari, all’interno dei quali le larve crescono sulla cera d’api. In condizioni normali la larva ovviamente non mangia la plastica, ma l’esperimento, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Current Biology”, dimostra che in caso di bisogno riesce ad adattarsi molto probabilmente perché la digestione della cera d’api e del politilene richiedono la rottura di legami chimici dello stesso tipo.

Secondo Bombelli “la scoperta, se si dimostrasse che alla base di questo processo chimico ci sia un unico enzima riproducibile su larga scala, potrebbe essere uno strumento importante per liberare acque e suoli dalla grandissima quantità di buste di plastica finora accumulata”.

a Cognita Design production
Torna in alto