Virus Ebola, la parola agli infettivologi Simit

Virus Ebola: mai arrivato tanto a Nord, ma non vi è motivo di ritenere che possa diffondersi al di fuori dall’Africa. “L’Ebola non si è mai mosso dall’area geografica dove si è verificata la malattia. I pochissimi casi che si sono visti fuori dall’Africa hanno coinvolto persone che hanno raggiunto i paesi d’origine per farsi curare. La catena del contagio tende ad arrestarsi rapidamente, e raramente supera il primo contatto”, spiega il Prof. Massimo Galli, infettivologo SIMIT.

Il ceppo di virus Ebola più letale, detto Ebola-Zaire, ha ucciso fino al 90% dei contagiati. In passato le epidemie hanno trovato negli ospedali locali, dotati di mezzi inadeguati a limitare il contagio, il luogo della loro amplificazione. La preparazione dei corpi alla sepoltura, che coinvolge in alcuni paesi l’intero gruppo familiare, ha rappresentato un ulteriore volano per la diffusione della malattia in alcune situazioni.

“L’allarme a livello locale – spiega il Prof. Massimo Galli, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Milano e Segretario della SIMIT, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicaliè assolutamente dovuto e va mantenuto fino al contenimento della malattia: va tuttavia ricordato che fino ad ora le epidemie da Ebola non si sono mai estese oltre un raggio di poche decine di chilometri dal punto in cui si sono generate. (Escludendo ovviamente i pochi casi in persone che sono riuscite a farsi curare  lontano dal luogo del contagio). La catena del contagio tende ad arrestarsi rapidamente, al primo o al secondo contatto. L’infezione è contratta per contatto diretto, con persone e  animali malati e loro fluidi corporei.”

La famiglia di virus a cui Ebola appartiene, i Filoviridae, non si è certo evoluta nella nostra specie: si tratta di una sorte di ‘alieni’ che, se casualmente ci infettano, si comportano come ‘teppisti disadattati’, uccidendo un ospite che per loro non è ne abituale, ne a loro necessario per continuare a perpetuarsi come specie. In realtà le specie conosciute di Ebola sono cinque, di cui solo tre terribilmente patogene e spesso letali, mentre le altre due individuate molto meno pericolose e una, Ebola Reston, praticamente non patogena per l’uomo. Negli ultimi anni si è cominciato a capire che gli Ebola più aggressivi sono probabilmente virus di alcune specie di pipistrelli.

“In natura sono comuni forse, più di quanto si pensi – prosegue il Prof. Massimo Galli Il più pericoloso,  Ebola Zaire, o  Zebov, ha fatto la sua prima apparizione nel 1976, nello Zaire, uccidendo l’88% dei 318 casi. Nello stesso anno nel Sud Sudan sono stati accertati altri 284 casi con il 53% di decessi. Si è in seguito scoperto che si trattava di una diversa specie virale, chiamata Ebola Sudan, che nel 2000-2001 ha causato, questa volta in Uganda un’altra epidemia, la più vasta finora registrata, con  425 casi e il 53% di decessi. Tra il 2004-2007 una nuova epidemia nel Congo data da una nuova specie virale, Ebola Bundibugyo, con 129 casi e il 25% di morti. Poi, dopo altri episodi più circoscritti, causati alternativamente dalle tre specie patogene in diversi paesi africani tra il 2009 e il 2012, quello attualmente in corso in Guinea, sorprendente, perché è l’episodio più settentrionale mai avvenuto e perché, salvo smentite,sarebbe causato da ZEboV”.

IL CONTAGIO – I ‘misteri’ che riguardano Ebola, in realtà, sono ancora molti.  Secondo un recente studio che ha coinvolto 4mila persone e più di 200 villaggi in zone che potevano essere interessate da Ebola, i sieropositivi per anticorpi contro il virus erano ben il 15% e nessuno di loro risultava  essere mai stato malato. “Delle due l’una – spiegano gli specialisti SIMIT – o esistono specie di virus non patogene per l’uomo anche nelle aree in cui possono emergere le specie più aggressive (e in questo caso gli anticorpi sono espressione di quella che chiamiamo reazione crociata), oppure esiste la possibilità di venire a contatto con il virus con cariche insufficienti per avere una infezione conclamata, ma comunque sufficienti per avere una risposta anticorpale. Potrebbe anche essere possibile che alcune persone siano naturalmente capaci di difendersi meglio”.

“La probabilità che un turista possa contagiarsi è trascurabile, poiché le aree interessate sono in genere remote, fuori dai circuiti turistici e poiché le località colpite vengono di regola chiuse all’accesso dall’esterno – prosegue il Prof. Massimo Galli – Non è una malattia trasmessa da zanzare, come la malaria (per cui consigliamo sempre di eseguire la profilassi), ne per via aerea come l’influenza. Per la trasmissione occorre un contatto fisico o coni liquidi e secreti corporei dei malati”.

SINTOMI – Gli specialisti della Simit spiegano in sintomi della malattia: l’incubazione varia pochi giorni a circa una settimana. La malattia esordisce con febbre e altri sintomi aspecifici. Spesso compare un’eruzione cutanea di tipo maculo-papulare seguita da manifestazioni emorragiche minori sempre a livello cutaneo, per proseguire con quelle maggiori, soprattutto del tratto gastrointestinale, con vomito e diarrea emorragici (tecnicamente, ematemesi e melena) emorragie orali, genitali, anali, caduta della pressione arteriosa e insufficienza renale. Nell’arco della seconda settimana della malattia, il paziente muore senza produrre anticorpi, a differenza di coloro che riescono a sopravvivere alla malattia. L’intero sistema immunitario è coinvolto nel tentativo di montare una valida difesa, nella più parte dei casi, come si è visto, senza successo.

Una possibile buona notizia è che la ricerca per una cura procede e qualche risultato, molto preliminare e circoscritto a esperienze di laboratorio, è già stato ottenuto. In particolare sono in corso ricerche su un anticorpo monoclonale (una specie di ‘antisiero’) e su alcuni nuovi farmaci ad azione antivirale.

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