Le regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso

 Diritto di informazione, libertà d’espressione e diritto alla privacy, a Scienze Politiche, conversazione sul saggio “Le regole dei giornalisti”

Catania – “Le regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso”, questo il titolo del libro scritto da Caterina Malavenda, Carlo Melzi d’Eril e Giulio E. Vigevani, presentato nei giorni scorsi presso l’aula magna della Facoltà di Scienze Politiche.

A intervenire: il prof. Giuseppe Barone, ordinario di Diritto pubblico dell’ateneo catanese, il giornalista Nino Milazzo e il giudice Bruno Di Marco, presidente del Tribunale di Catania, l’autrice Caterina Malavenda e il giornalista Francesco Merlo.

Dopo i saluti del professore Giuseppe Vecchio, Direttore del dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, il professore Tino Vittorio, docente di Storia contemporanea, è intervenuto per aprire il dibattito.

Secondo gli autori “se tutti i giornalisti si limitassero a pubblicare le notizie “ufficiali”, provenienti dalle fonti istituzionali o dai diretti interessati l’informazione sarebbe non solo più povera, ma soprattutto più “prona”. Sarebbe però indenne da ogni rischio. Succede tuttavia che per garantire informazione di interesse pubblico ogni giornalista debba trasformarsi in un bravo segugio che le notizie se le va a cercare. Inizia qui un acrobatico districo nel mondo delle regole, tra il diritto di informazione, la libertà d’espressione, il diritto alla privacy, la diffamazione. Innumerevoli casi di cronaca ci dicono continuamente della tensione tra ciò che può e non può essere detto o scritto, tra ciò che è informazione e ciò che è insinuazione, tra ciò che è giornalismo e ciò che è puro gossip. Le norme in materia sono complesse e di difficile interpretazione: di fatto è praticamente impossibile oggi far bene questo mestiere senza finire sotto processo.”

Il presidente del Tribunale di Catania ha sottolineato nel suo intervento, che nella Costituzione e nel Codice civile si parla di libertà di stampa sottolineando come oggi sia fondamentale parlare di libertà di Stampa, una libertà che comunque ha dei limiti stabiliti dal Codice Penale.

L’autrice del libro, Caterina Malavenda ha spiegato nel suo intervento il perché Sallustri è stato processato per diffamazione e il perché della condanna.

Gli autori, infatti, a tal proposito hanno dedicato diverse pagine molto interessanti sui rischi, ancor più gravi di quelli che corre il cronista, che incombono sul direttore di un periodico a stampa. Il direttore è considerato responsabile di tutto ciò che viene pubblicato tranne nel caso in cui è in ferie e se si aggiunge il fatto che, come proprio il caso Sallusti dimostra, le pene, oltre che pecuniarie, possono addirittura essere detentive, si ha un quadro abbastanza drammatico dello stato della libertà di informazione nel Paese.

“Solo noi giornalisti, più di chiunque altro, – sottolinea Francesco Merlo, autore della postfazione del libro- sappiamo sulla nostra pelle quanto sia diventato centrale il ruolo dell’avvocato nell’informazione moderna, a fianco del cronista ma anche al fianco del suo nemico, sempre sacerdote e controllore dei limiti della libertà di stampa. Al di là di questi limiti la libertà sarebbe appunto illimitata e dunque non esisterebbe più come libertà e non ci sarebbe ovviamente bisogno di avvocati. Ma al di qua di questi limiti la libertà sarebbe soffocata e dunque di nuovo non ci sarebbe bisogno di avvocati. Il punto è che più cresce la libertà di stampa più il giornalista finisce in tribunale perché la vera libertà di stampa è dire alla gente ciò che la gente non vorrebbe sentirsi dire”. “La morale di questo manuale di giornalismo – continua Merlo – è che non c’è coraggio senza prudenza e non prudenza senza coraggio”

A concludere gli interventi Nino Milazzo che ha sottolineato come “i tre autori abbiano dato delle risposti molto esaurienti “. “Sembra quasi incredibile – dice Milazzo- ma si scopre che nella Repubblica Italiana vige una forma surrettizia di censura. Mi rendo conto della pesantezza di questa mia affermazione, ma questo è quello che mi ha trasmesso questo libro. Sicuramente fare una buona e corretta informazione è difficile e credo che bisognerebbe valorizzare lo strumento della rettifica. Credo inoltre, che sia giusto che vi siano delle sanzioni ma che non sia il carcere o multe troppo onerose perché questo diventerebbe un deterrente per imbavagliare l’informazione”.

 

 

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