Se ci si pone la domanda: cosa distingue l’uomo dagli animali? La risposta che la stragrande maggioranza della gente dirà è questa: l’intelligenza è la caratteristica fondamentale che distingue gli individui della specie umana da quelli delle altre specie animali.
Ciò è senza dubbio vero, ma entro certi limiti: bisogna in altri termini dare anzitutto una definizione corretta ed univoca di “intelligenza” per potere dare una simile risposta, in quanto moltissime specie animali sono dotate di un certo grado di intelligenza senza avere però lo stesso tipo di intelligenza umana. Cos’è allora che distingue l’intelligenza umana da quella per così dire “animalesca”? La risposta è semplice: la differenza essenziale consiste in quella capacità che possiamo per comodità definire fantasia. Fantasia è la capacità di superare la realtà aggiungendo ad essa qualcosa che esiste solo nella nostra psiche; la capacità di collegare cose apparentemente lontane ed incongruenti fra loro provocando quel “corto circuito” fecondo da cui nasce la scienza, la cultura, l’arte.
In questo senso può dirsi dotato di fantasia sia l’uomo comune alle prese con il “semplice” problema di sbarcare il lunario, sia lo scienziato immerso nei propri astrusi calcoli, sia l’artista intento ad interpretare trasfigurandola la realtà cercando di dare un senso umanizzante alle contraddizioni della propria vita: e questi sono, a guardar bene, i momenti fondamentali di ogni cultura. La maniera ij cui si comporta l’uomo nella vita quotidiana, il livello raggiunto dalla scienza, le particolari tecniche artistiche: questi sono i tre punti essenziali a capire la weltanschauung di un’epoca e sufficienti a definire la sua cultura.
Fin dai tempi più lontani l’uomo ha sempre sentito l’ esigenza di trascendere la realtà sensibile e contraddittoria che gli poneva davanti agli occhi, di riferire il morto dato oggettivo del fenomeno a qualcosa che lo spiegasse dandogli un senso umano ed umanizzante: ha cioè sempre l’esigenza di creare una cultura un sistema di valori in qualche modo precostituiti capace di dare un significato a tutto ciò che avveniva. Fino a quando la scienza non è stata in grado di spiegare con le sue leggi oggettive la realtà che ci circonda ed in larga misura anche ora l’uomo ha spiegato il mistero della vita in maniera “antropomorfizzante” cioè religiosa o artistica.
Nelle epoche più antiche si supponeva addirittura l’esistenza di un mondo magico parallelo a quello quotidiano: tanto più un popolo ignora le scienze e si trova immediatamente alle prese con la realtà naturale spesso tanto strana e “sovraumana”, tanto più le spiegazioni la sua cultura è di tipo mistico e fantastico, causa gli incerti confini fra realtà oggettiva e sua interpretazione soggettiva.
Se accettiamo il concetto secondo cui l’arte è capacità di creare miti non avulsi dalla realtà bensì rispecchianti, trasfigurandola, la realtà stessa, allora ci spiegheremo facilmente perché i popoli primitivi sono quelli più immediatamente in gradi di produrre un’arte che può spingersi a volte a realizzazioni insuperabili: basta pensare all’ esempio dell’arte greca, che per molti versi costituisce veramente un apice insuperabile.
La nostra società capitalistica è fieramente avversa per la sua stessa costituzione all’arte: l’uomo è troppo isolato e straniero all’altro uomo, troppa è la distanza che separa l’individuo da una influenza reale sulla sua realtà per potere sorgere un’arte che abbia i requisiti della “grande arte” dei tempi passati. Può sorgere un’arte diversa che rispecchi appunto la condizione dell’uomo moderno ma questo è un altro discorso.
Da questo coacervo di problemi nasce l’enorme fascino che esercita su di noi l’arte dei primitivi, e non soltanto l’arte ma tutto l’insieme delle creazioni culturali delle epoche passate. Ma anche il popolo cui noi apparteniamo è stato un tempo “primitivo” e la cultura che ha sviluppato ci è stata in parte tramandata. Il complesso di queste tradizioni popolari costituisce il cosiddetto folklore.
La cultura popolare è per definizione la cultura delle classi subalterne: essa ha quindi le caratteristiche di una cultura “alternativa” spesso contrapponibile a quella sviluppata storicamente dalle classi dominanti che si sono via via succedute nei secoli, alla cultura sorta per opera degli intellettuali di professione al servizio del potere. La cultura popolare ha infatti una caratteristica che la differenzia che la differenzia radicalmente da quella ufficiale: essa è stata elaborata direttamente dal popolo e non da un determinato gruppo sociale demandato a questo compito quale appunto il gruppo degli intellettuali professionisti.
Questo provoca numerosi pregi e difetti: non possiamo accostarci ai prodotti di questa cultura senza avere una sensazione al medesimo tempo di freschezza e di rozzezza; perché se è vero che i prodotti culturali sviluppati dalla cultura ufficiale sono ovviamente molto più raffinati e al limite sofisticati di quelli prodotti dalla cultura popolare, è anche vero che questi ultimi sono molto più sinceri e riescono a rispecchiare in modo molto più realistico le reali esigenza delle classi sfruttate e subalterne.
In questo senso le caratteristiche della cultura popolare sono radicalmente diverse da quelle della nostra cultura che possiamo per comodità definire borghese in quanto questa esprime la concezione della vita propria di chi è al potere o quantomeno è nell’area di privilegio del potere, mentre la cultura popolare esprime la concezione di chi il potere lo subisce.
Ne deriva una carica spesso irrefrenabilmente protestataria, una vitalità ed una amarezza che invano cercheremmo nell’altra cultura. C’è poi da rilevare un fatto di massima importanza. Tutta la cultura deriva in ultima analisi dalla cultura popolare che è in effetti la fonte della cultura universale.
Gli studiosi hanno ormai definitivamente chiarito che anche gli elementi più sofisticati della nostra cultura derivano dalla cultura popolare. E’ chiaro allora, che una vera cultura non può non riallacciarsi anche se non in maniera necessariamente programmatica ed esplicita alla cultura popolare: perché altrimenti non farebbe altro che cercare di perpetuare il potere, cioè la società disumante in cui viviamo.