Splendida rappresentazione completa di Aida a Barcellona Pozzo di Gotto da parte del Coro Lirico Siciliano

Le belle voci dei protagonisti le scene di Zeffirelli e l’amplissimo concorso di pubblico al teatro Mandanici hanno decretato il successo dell’opera celebre di Giuseppe Verdi.

Quando il Cavaliere Giuseppe Verdi presenziava sin dagli inizi alle rappresentazioni di Aida dal 1872 in poi -una delle opere più conosciute a livello mondiale- dava oltre che con la sua presenza, curando gli allestimenti scenici e badando che non si tradisse lo spartito, un segnale al futuro. Non solo Aida e le parole magniloquenti del librettista Ghislanzoni tratte dal soggetto dell’archeologo francese Mariette per soddisfare il desiderio del Khedìvè d’Egitto in occasione della inaugurazione del canale di Suez (in realtà orgoglio inglese, come il sovrano egizio fu espressione del governo di Sua Maestà Britannica fino all’avvento del nasserismo nel XX secolo) ma anche tutte le sue opere, dovevano esser date così come egli volle. Nulla più nulla meno. Era il “padre” musicale dell’Unità italiana creata da Casa Savoia e da Garibaldi, i canoni dovevano rimanere intoccabili. La parte di Aida è stata scritta per il soprano Teresa Stolz, che la interpretò finché fu sulle scene, vivente Verdi. L’impronta era tracciata. Ci sono confini musicali (gli inglesi direbbero “landmarks”) che nessuno può permettersi di varcare, pena il sangue. Così Remo che opponendo la sua arroganza al pomerium, venne ucciso da Romolo che pur gli era fratello. Vi sono sacralità che vanno assolutamente rispettate.

Ciò per dire che l’allestimento in terra di Sicilia di Aida, con le scene che usò Franco Zeffirelli una trentina di anni or sono, data dal Coro Lirico Siciliano in un luogo e teatro che non ci si aspetta, ovvero il teatro “Mandanici” di Barcellona Pozzo di Gotto, è stato assolutamente rispettoso della volontà del Maestro e Senatore (del Regno) Verdi e della sua arte. Barcellona di Sicilia, per molti versi storicamente legata a quella di Catalogna, ha una storia interessante, che qui basti compendiare con l’appellativo che le diede Garibaldi, “la Patriottica” per il supporto fondamentale del suo popolo alla battaglia di Milazzo, la quale nel 1860 sbandò e disperse l’unico conato di resistenza del morente esercito borboniano di Re Francesco II delle due Sicilie. Ivi è un teatro davvero bello e curato, dalla ottima acustica, che ha la grazia di essere diretto artisticamente da quel geniale artista (perché lui è anche cantante, tenore baritonale con la voce alla Pippo Di Stefano come fa piacere ricordare) che è Alberto Munafò Siragusa: i barcellonesi non potevano fare scelta migliore poiché è grazie a lui e all’altro “geniaccio”, il Maestro del Coro Francesco Costa, se in Sicilia si è potuti assistere ad una rappresentazione completa quanto rara, della fastosa opera verdiana. E che ciò sia avvenuto nella cittadina di quarantamila abitanti ricordata per la battaglia tra Gerone II e i Mamertini durante la seconda guerra punica, e non nella barocca Catania, nella regale Palermo, nella superba Messina, financo nella fu Contea di Modica, la dice lunga sulle scelte dei teatri di queste città. A noi il pur lungo viaggio valse ad apprezzare la struttura e soprattutto, a godere di una opera che così come è stata data, difficilmente potrà essere ripetuta, anche per il costellarsi di voci che, se non sono a registro degli agenti teatrali à la pàge, hanno di oltre il livello più che superiore della qualità vocale unitamente alla resa scenica veramente distinta.

Merita di nominare subito il soprano francese Chrystelle Di Marco, molto attiva nel sud della nazione transalpina, la quale sia fisicamente che scenicamente ma soprattutto con un timbro vocale che ci colpì per la sua densità e rettitudine per tutti i quattro atti dell’opera, davvero senza sbavature, suscitò ampio plauso. Ben rappresentò la principessa abissina (o etiope) presaga della Regina di Saba che tenne il cuore di Salomone: il leone di Giuda ha ancora ruggito.

Così la Amneris del mezzosoprano serbo Sanja Anastasia, di cui ricordiamo una bella Carmen a Taormina nel 2019: ella cresciuta nella fase recitativa, mantiene inalterato il suo timbro squillante e dilatato, sulla scia della Stolz. Il Radames del tenore spagnolo Eduardo Sandoval, che al primo atto iniziò incespicando negli acuti e con qualche squarciatura, ha poi assestato il registro collocandosi nella fascia di medio alta caratura, anche perché non vi furono cali di tono nei passaggi essenziali. Buona resa anche per l’Amonastro di Alessio Verna, il Ramphis di Sulkhan Jajani, il Re d’Egitto di Gaetano Triscari; citiamo anche la sacerdotessa (Leonora Llieva) e il messaggero (Federico Parisi).

Il Direttore della Orchestra filarmonica di Catania Barthelemy Martin ha davvero rispettato il volere verdiano: giovane esecutore ma già filologicamente ferrato, a fronte di direttori d’età che volano come vespe infischiandosi degli autori. Merita positiva menzione. L’orchestra resse l’ampio spartito verdiano, a parte qualche sbavatura sugli ottoni nella celeberrima “marcia trionfale”. Non v’ha luogo perché furono sempre di alto livello, di lodare le artiste e gli artisti del Coro Lirico, perché l’attento coordinamento del Maestro Costa dona sempre i migliori risultati. Essendo Aida opera di masse, l’aggiunta delle comparse e il più che buon coordinamento registico frutto delle prove, hanno dato i risultati sperati. Molto hanno fatto nella composizione teatrale, aiutati anche da un palcoscenico ampio e dalla “buca” dell’orchestra dignitosamente aperta (come i bei teatri di epoche che furono) le scene zeffirelliane: le enormi statue egizie della dea gatta Bastet e del dio sciacallo Anubi, se da un lato riportano alla ritualità Memphitica e Misraimitica cara a certi ambienti nell’Italia del secondo Ottocento (sempre Garibaldi, per chi ha passione per alcuni filoni, fu Grande Sacerdote del Rito Egizio moderno) costituiscono dei numi tutelari ben più cari alla antichissima Sicilia legata all’Egitto sin dai tempi tolemaici, che i culti sanguinari dei secoli successivi. La terra di Osiride e del Faraone predicava amore per la Natura e per la spiga anche se da lì presero le mosse le derive religiose successive.

I costumi curati di Anna Anni e il trucco e parrucco di Alfredo Danese e dei suoi collaboratori (tra cui le graziosissime figliole Emilia e Gloria) come hanno reso agli occhi del numerosissimo pubblico convenuto, la grandezza dell’Egitto faraonico nella tragedia dei due amanti infelici ma densi di sentimento, così hanno allietato la vista. Pubblico che in massa ha riempito quasi totalmente il teatro Mandanici e proveniente, secondo le nostre indagini, da tutto il comprensorio della Valle del Mela, tra cui numerosi giovani. Pubblico magari troppo indulgente agli applausi per ogni quadro: ma gli è che la fase post pandemica si caratterizza, niente lo testimonia come questo caso, qual voglia di risorgere dalle ceneri e di uscita dal “carcere” delle oppresse emozioni. Fu presente la Legione Garibaldina Comando per la Sicilia e la Federazione di Catania della Associazione Italiana Combattenti Interalleati.

A questo ed altro, ai visi trascorsi e a quelli che verranno, alle note tostiane nell’ebbrezza dell’aprile carnoso come i cari ideali e ai pianoforti andati e venuti nei tocchi di un Notturno, agli acquerelli densi del simbolismo nei colori magici della melagrana, fecero pensare le verdiane melodie mentre avviavasi a conclusione l’opera, a cui poco prima dell’una della notte, il pubblico dedicò un ampio quarto d’ora di forti applausi. “Morir! sì pura e bella! Morir per me d’amore… degli anni tuoi nel fiore fuggir la vita! T’avea il cielo per l’amor creata, ed io t’uccido per averti amata! …Già veggo il ciel dischiudersi…ivi ogni affanno cessa…ivi comincia l’estasi d’un immortale amor” affermano nella cupa prigione Radames e Aida , significando che la sublime idealità del sentimento più puro, qualora si raggiunga, non è di questa terra. Laicità che coincidendo con il senso comune religioso del tempo, metteva d’accordo tutti. Ma non per niente, a parte la sua musica adattabile perché davvero popolare pur se aristocraticamente intesa, Verdi è sempre Verdi!

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