I signori del calcio: lunga vita a re Zlatan Ibrahimovic

La storia di un ragazzino di Malmo, in Svezia, divenuto uno dei più grandi calciatori di sempre a suon di gol e di giocate spettacolari

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Può bastare un solo articolo per parlare di Zlatan Ibrahimovic? E’ stata la prima domanda che ci siamo fatti quando è nata l’idea di dedicare la rubrica ‘Il personaggio’ nel numero di questo mese allo svedese. Abbiamo deciso di provarci lo stesso anche se la risposta probabilmente sarebbe negativa perché siamo difronte ad un monumento del calcio mondiale e raccontare la sua storia in una o due pagine sembra davvero una missione impossibile. La carriera della punta svedese è ben nota a tutti: Malmo, Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, PSG, L.A. Galaxy sono state le “sue” squadre, in tutti i sensi. Perché quando decidi di puntare su Zlatan non compri solo un attaccante fisicamente e tecnicamente dominante, ma cambi proprio tutto il modo di giocare della tua squadra che – inevitabilmente – inizia a orbitare attorno a questo “sole sportivo”. Ripercorrere le grandi tappe della carriera del calciatore ex Paris Saint- Germain sarebbe davvero inutile visto che anche i meno appassionati conosceranno sicuramente le gesta e le imprese del giocatore e – in alcuni casi – dell’uomo.

Perché in fin dei conti Zlatan è Zlatan, o lo ami o lo odi, non esistono le mezze misure. Ma cosa c’è dietro la leggenda? Cosa c’è dietro al giocatore che ha segnato alcuni dei goal più belli degli ultimi anni portandosi sulle spalle ognuna delle squadre in cui ha giocato? Aldilà delle vicende curiose e di alcune “leggende” – mai smentite né confermate – che girano attorno al campione svedese in molti ignorano che la storia di Ibrahimovic è una storia fatta di voglia, passione e sacrifici che hanno col tempo forgiato quel carattere così scontroso che però rende Ibra unico nel suo genere. Ma in realtà unico Zlatan lo era già da quando era poco più che un bambino come ha spiegato nel corso di un’intervista Hasib Klilic, uno dei primi tecnici dell’attaccante: “In campo giocava come se fosse da solo, non si fidava dei compagni che vedeva inferiori a livello tecnico. Non potevo rimproverarlo però: segnava sempre“. E allora la mente va subito a quella storia secondo cui con la sua squadra sotto di quattro goal all’intervallo quel ragazzino entra nella ripresa e piazza otto reti. Un primissimo sintomo del campione che sarebbe stato, l’inizio di quel giocatore che oggi tutti conosciamo e guardiamo con ammirazione e che non finisce mai di stupire. Ma le cose sarebbero potute andare anche diversamente visto che a 15 anni I bra fu ad un passo dal mollare tutto quando ad un altro dei suoi primi allenatori, Johnny Gyllensjo, disse che avrebbe lasciato la squadra. I l motivo? La mancanza di spazio vista la spietata concorrenza del compagno di squadra Flygare che viaggiava ad una media goal davvero impressionante. I l tecnico riuscì a persuadere Zlatan e a convincerlo a guardare non solo i goal segnati. Qualità, non quantità. Potrebbe essere il motto dell’I bra adulto, quello che abbiamo imparato a conoscere sui campi più importanti d’Europa, visto che definire lo svedese un semplice realizzatore sarebbe davvero riduttivo. E poi i provini (con la particolare storia di quel rifiuto all’Arsenal), l’arrivo all’Ajax e da lì poi ciò che conosciamo tutti, l’inizio dell’impero di Re Zlatan, simbolo svedese e del calcio mondiale.

Ma anche la storia calcistica del ragazzo di Malmo apparentemente così perfetta ha due squarci profondi che limitano per certi versi l’impatto che negli ultimi 10 anni il giocatore ha avuto sul mondo del pallone. Due macchie su quel curriculum così perfetto che hanno un nome ben preciso: Champions e Pallone D’Oro. La Coppa dalle grandi orecchie è stata e – per il momento continua ad essere – il grande tallone d’Achille del campione da sempre dominante in campionato ma mai capace (a volte con la complicità della sfortuna) di portare una delle sue squadre sul tetto d’Europa. La seconda “macchia” per certi versi risente della sfortuna continentale dello svedese ma è anche opera della maledizione di essere capitato negli anni di Messi e C. Ronaldo, i due extraterrestri che hanno sbaragliato davvero la concorrenza. La corsa per la conquista di questi dei due trofei da parte del gigante svedese continua. Potrebbero anche restare solo dei sogni o delle “macchie” su una carriera davvero stellare, come una curiosa beffa del destino per un giocatore che la vittoria ce l’ha nel sangue. Ma in fin dei conti cosa importa? Se è vero – come si dice – che l’importante sia il viaggio e non la meta quello di Ibra, dai piccoli campetti della Svezia dove da bambino trascinava la squadra all’idea di mollare tutto nell’adolescenza fino agli incredibili successi da adulto, è stato e continua ad essere proprio un bel viaggio. Un viaggio da re.

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