Con Shakespeare nel segno della speranza in “Sogno di una notte a Bicocca”

Per il Festival Shakespeariano dello Stretto 2021 al Palacultura “Antonello” il debutto messinese di  “Sogno di una notte a Bicocca” scritto, diretto ed interpretato da Francesca Ferro

Sabato sera, 24  luglio, all’Auditorium del Palacultura “Antonello”, come da programma per il Festival Shakespeariano dello Stretto 2021, è andata in scena “Sogno di una notte a Bicocca” di Francesca Ferro.

L’opera teatrale, prodotta dal Teatro Mobile di Catania, dopo due anni di rappresentazione e un ritorno in scena nel maggio scorso al Teatro Litta di Milano, giunge in prima visione a Messina fortemente voluta in cartellone da Daniele Gonciaruk, ideatore e direttore della rassegna teatrale shakespeariana, proprio per l’importanza dei contenuti sociali del testo che, ispirato alla famosa opera del Bardo “Sogno di una notte di mezza estate, racconta l’allestimento che della stessa curò nel 2017 Francesca con un laboratorio teatrale programmato per i detenuti dell’istituto di pena catanese “Bicocca”, da cui la messa in scena che conduce alla pièce “Sogno di una notte a Bicocca”.

Ed è nel “sogno” che si contrappone alla “realtà” che si snoda la vicenda dietro le sbarre dell’istituto di pena come anche attraverso le diverse fasi e il superamento delle difficoltà per realizzarlo.

Non è affatto facile l’impatto nella realtà carceraria dei detenuti e delle sentenze di condanna che li accompagnano, spesso pesantissime per varie tipologie di reati (assassinio, spaccio, sfruttamento della prostituzione), e proporre di lavorare su un testo teatrale così articolato come “Sogno di una notte di mezza estate”.

E già questo, di per sé, contempla qualcosa di magico, quasi un sogno ma, potenza del teatro e della sua forza catartica, Francesca Ferro (figlia d’arte di Turi Ferro e Ida Carrara) con la sua sensibilità riesce atrasformarli” in attori  e anche in protagonisti con l’umanità delle proprie vite.

Si riscrive quindi anche in dialetto siciliano/catanese il testo shakespeariano che viene farcito da un linguaggio fatto anche di parole e frasi tipiche di certi ambienti e realtà.

Undici attori sulla scena e nell’insieme si evidenziano ben orchestrate le atmosfere carcerarie con le appropriate ombre, i giochi di luce che perfettamente hanno dato l’idea di un luogo che angoscia solo a pensarlo.

Il carcere non è morte ma neanche vita: si pensa di solito a degli uomini che stanno ognuno nella propria cella o insieme nella  stessa cella ed è certo che chi vi entra deve accettare tutti i regolamenti imposti dall’amministrazione penitenziaria come anche sottostare alle regole di un altro codice “non scritto” ma presente tra i detenuti.

Da subito quindi le privazioni e un duro cambio di passo rispetto alla vita di sempre ma non si deve perdere di vista che bisogna garantire comunque un reinserimento sociale dei detenuti come anche l’importanza della funzione rieducativa della pena per dare la possibilità ad ognuno di non perdere la propria dignità umana.

Le fredde mura della prigionia segnano una linea di confine oltre la quale qualsiasi progetto, ambizione o desiderio si annulla in una indefinita percezione spazio temporale.

Ed è in questo contesto che entra in gioco la dimensione del sogno che offre la possibilità di singolari vie di fuga, di proiezioni in altri spazi, di inventarsi protagonisti in storie e dimensioni lontane dalle loro per ritrovarsi anche, perché no, in un bosco in una notte d’estate.

Notevole la prova del cast di attori che, oltre alla regista ed autrice Francesca Ferro, è composto da Agostino Zumbo, Rosario Minardi, Mario Opinato, Giovanni Arezzo, Francesco Maria Attardi, Renny Zapato, Giuseppe Brancato, Giovanni Maugeri, Antonio Marino e Dany Break.

Le musiche di Massimiliano Pace hanno puntualmente delineato l’evoluzione della vicenda ben congegnata grazie anche all’aiuto regista Mariachiara Pappalardo e alla direzione dell’allestimento di Alessia Zarcone.

Un plauso va al direttore artistico Daniele Gonciaruk per l’ennesima bella occasione offerta alla comunità cittadina con l’interessantissima proposta teatrale inserita in rassegna: un bel lavoro che per contenuti e forza teatrale merita notevole attenzione e sicuramente una presenza più nutrita del pubblico quando in futuro, finalmente fuori da imposti lockdown, ci riabitueremo ai nostri normali ritmi di vita riappropriandoci anche dei nostri spazi culturali.

E sottolineando ancora l’importanza del sogno e del suo appagante valore, anche in funzione di riscatto sociale, ci piace concludere con l’intrigante fascino delle parole che il Bardo affida alla fine a Puck, spiritello dei boschi: “Se noi ombre vi abbiamo offeso, per poterci dare il perdono, fate conto di aver dormito, mentre queste visioni apparivano e che a mostrarvi paesaggi immaginari sia stato un sogno”.

Con l’augurio da parte nostra che ad ognuno di noi sia dato modo di provare a trovare prima o poi il “suo sogno”…

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