Con “La Sicilia al femminile e non solo…” l’attore Elio Crifò per parlare di Teatro

Continua l’iter della nostra rubrica tra le varie voci della nostra cultura che, per l’altra faccia della medaglia de “La Sicilia al femminile e non solo…”, incontra la marcata personalità artistica di Elio Crifò, attore, regista e autore.

Dopo il successo della V edizione di “Tyndaris Augustea” Elio Crifò sarà in scena a Taormina il 5 e il 9 settembre con “Scatola, ossessioni da asporto” e “Sicilitudine”, per Taormina Arte, e l’11 settembre a “NaxosLegge”

Il Teatro è una forma d’arte che, in una creazione lineare e continua, accomuna direttamente attore e spettatore; un legame molto stretto fra il pubblico e gli artisti dove la presenza è ciò che caratterizza e rende possibile quell’alone di magia che, quando scatta, consente di fare anche straordinari salti “spazio/temporali”, dai giorni nostri fino all’antica Grecia o anche percorrere possibili future traiettorie.

Non poniamo limiti…

Elio Crifò nasce a Roma ma le sue origini sono fortemente ancorate alla terra di Sicilia: attore, regista e autore lo abbiamo incontrato per parlare di Teatro.

Elio Crifò, “Tyndaris Augustea”

D – Elio da anni il tuo stile si contraddistingue per i testi, diretti e pungenti, e le riflessioni satiriche penetranti sull’operato umano. Lo abbiamo visto con “La classe diGerente”, “Gli imperi della mente” e le varie versioni di “EsotericArte”. Con “Tyndaris Augustea”,  giunta alla V Edizione nel 2022, il tuo Omero cosa ci vuole restituire dell’arguto ingegno di Ulisse?

R – Come scrive lo stesso Omero “l’ingegno è multiforme”. Odisseo è l’ingegno e l’ingegno in quanto tale è multiforme mentre noi viviamo, dal dopoguerra in poi, in un ingegno che deve essere uniforme, specifico, settoriale e quindi non è un ingegno: è una pratica, è altro ma non è l’intelligenza. Quindi siamo una società che, chiaramente, con miliardi di persone coltiva la stupidità di massa, coltiva l’imbecillità di massa spendendo miliardi al giorno per coltivare questo mentre l’uomo antico aveva necessità di coltivare l’intelligenza di massa, la cultura di massa, ne aveva proprio l’esigenza ed ecco che consideravano importante Omero come comunicatore e non Chiara Ferragni cosa che invece sostengono le nostre istituzioni pensando che sia una importante comunicatrice. Quindi  metto a confronto la grande imbecillità di massa, che viene foraggiata dai nostri Stati, rispetto all’intelligenza di massa che veniva stimolata nel popolo antico. Quindi diciamo che l’uomo contemporaneo è notevolmente più stupido dell’uomo antico e questa è una realtà, infatti noi abbiamo grosse difficoltà: le tragedie non erano degli intrattenimenti per gli intellettuali, erano popolari e questo ci fa capire come, in quel modo, il popolo gradisse, affollasse le tragedie oltre che le commedie. Per cui il fulcro è: la cultura della stupidità contemporanea a confronto con la cultura della intelligenza popolare che si coltivava nel mondo antico.

Elio Crifò, “Gli imperi della mente”

D – La spinta a diventare attore di teatro, nel tuo caso, da cosa è stata dettata e quanta parte della Sicilia senti presente nelle tue scelte artistiche?

R – La spinta a diventare attore di teatro la consideriamo una seconda spinta perché dopo aver fatto parte per molti anni di compagnie nazionali con Cobelli, Lavia, Lionello, ecc., ecc. poi ho staccato, ho abbandonato quel mondo, come anche ho abbandonato il fatto di inseguire il cinema, la televisione perché lì sono climi da caserma sia dal punto di vista artistico e, soprattutto, sia dal punto di vista umano e quindi io avevo fatto questa scelta… l’ho capito dopo… perché mi sentivo artista,  cioè sentivo come un’artista e non come un attore, non come un lavoratore dello spettacolo dove, in pratica, ti si richiede di essere un operaio dello spettacolo. Invece da quando io sono diventato colui che si mette in scena, crea tutto il progetto, se lo scrive, l’utilizza, lo interpreta, è salita notevolmente anche la qualità dell’offerta di quello che faccio. Io temevo che finendo i grandi spettacoli non avrei avuto la risposta del pubblico, invece la risposta si è decuplicata perché quello che ho immediatamente fatto è cercare di creare  un linguaggio che parli all’uomo contemporaneo come ho fatto con l’Odissea, come con tutti i classici, le traduzioni, e noi abbiamo le  traduzioni di Vincenzo Monti e di altri,  abbiamo linguaggi che se un uomo della nostra età, dopo che ha finito di lavorare, viene e si siede a teatro non capisce assolutamente nulla. Quindi bisogna fare un lavoro di ritraduzione e io faccio anche l’opera di riadattamento di qualunque testo perché non abbiamo, o difficilmente abbiamo, delle traduzioni che riescano a parlare e a penetrare il cuore dell’uomo contemporaneo.

Elio Crifò, “Tyndaris Augustea”

Per quanto riguarda la Sicilia io sono esattamente diviso, spaccato a metà tra Roma e la Sicilia nel senso che io ho sangue siciliano, i miei genitori sono siciliani, però sono nato a Roma e poi sono ritornato a Roma in età adulta per lavorare e ho un forte rapporto con la città dove mi sono poi sposato, ho una figlia, una parte della mia famiglia a Roma e amo fortemente Roma anche perché non vivo la Roma attuale come disagiata, problematica, ecc., ecc. Avendo studiato Roma, appassionandomi alla città, all’Arte, all’Archeologia vivo la maestosità e la magia dell’eternità di Roma. Quindi vivo in due punti magici che è la Terra di Sicilia, presente fortemente in me anche come linguaggio nei mie testi, come anche mi piace portare Roma perché sono due grandissime culture che non si negano ma diciamo che si compensano l’una con l’altra: la cultura siciliana e la cultura romana. Aggiungo poi che la cultura romana antica significa la cultura dell’intero Occidente per cui capire Roma, la Roma antica, significa capire tutta la cultura dell’Occidente perché essa è la cultura dell’Occidente e questo significa capire anche perché oggi c’è il papato, perché il Papa è un imperatore ed è un Pontefice massimo che continua nella sua storia l’impero di Roma attraverso l’impero dei Papi: quindi è tutto questo ed è profondamente affascinante. Vivere in città più efficienti, come possono essere le città del nord Europa, ed essere immerso nella confusione romana non toglie assolutamente l’immensità della poesia di una città, Roma, che non è una città ma è un archetipo per l’uomo dell’Occidente.

D – C’è un consiglio che ti sentiresti di dare ai giovani che sono attratti da questa disciplina intesa come scelta professionale?

R – Un consiglio per una scelta professionale è imbarazzante perché lo Stato si è impegnato fortissimamente per poter distruggere e radere al suolo qualunque sistema economico intorno al teatro. In questi anni si sono succeduti dei ministri che con quelle facce buone, diciamo da quasi prete, da quasi parroco di periferia, lo hanno distrutto completamente. Quando oggi vai a parlare con dei politici, ed è successo anche a me, dei progetti teatrali non gli interessano  perché hanno un riscontro su poca gente, non possono colpire 200-300 mila, un milione di individui e a tal signori siccome vanno sulla quantità gli sfugge la qualità. Quindi invitare qualcuno a fare questo come professione lo si sconsiglia perché c’è un mondo ostile, c’è uno Stato ostile che sorride mentre ti accoltella. Il progetto è quello di toglierci tutti, fuori completamente, anche perché in questa società di super controllo io che vado in scena con i miei testi, o anche con il testo di un altro, in quel momento, quando ho una platea davanti in diretta, posso dire qualunque cosa come lo voglio io e per quanto lo voglio io. Ecco quindi che questa libertà non deve essere assolutamente più concessa ed è invece questo tipo di libertà quella che ha condotto la mia scelta di questi anni, che la conduce riempiendomi di gioia. Il poter aver fatto, il poter fare di una professione un’arte e di quell’arte una dimensione di vita, una dimensione di cultura, una dimensione di emozione reale non come i politici che parlano e non fanno niente: i miei spettacoli sono lì e chi ci partecipa e viene sa benissimo quello che succede e quali sono le reazioni.

Elio Crifò e Vittorio Sgarbi, “EsotericArte”

D – Per “La Sicilia al femminile e non solo…” c’è un personaggio teatrale femminile che ti abbia affascinato particolarmente?  

R – Ci sono diversi personaggi femminili che mi hanno attirato e che mi affascinano come Lady Macbeth del “Riccardo III” di Shakespeare, soprattutto nella famosissima scena in cui lei viene sedotta da Riccardo III sulla tomba del marito. Poi c’è Porzia, un altro personaggio shakespeariano de “Il mercante di Venezia”, donna di grande intelligenza e poi c’è Ilse, un personaggio pirandelliano de “I giganti della montagna” che ho visto interpretato in modo favoloso non da un’attrice bensì da un attore, dal grande Leo de Berardinis. Tra l’altro la cosa curiosa e che anche un paio di anni dopo che sono uscito dall’Accademia, 2-3 anni dopo, portavo come provini Giulietta, la scena di Giulietta perché avevo fatto Romeo e avevo capito che Romeo e Giulietta erano in pratica  la stessa cosa colorata del maschile di Romeo e del femminile di Giulietta, esse sono la stessa cosa, che poi questo è anche il senso di una coppia di amanti: sono una cosa sola, divisa ma che si attraggono l’uno con l’altro perché poi il segreto della vita è quello del grande equilibrio tra maschile e femminile, l’esplosione della vita è la grande attrazione tra maschile e femminile quindi delle diversità che si attraggono, si desiderano e si riproducono. Ciò che è uguale è sterile.

D – Ci vuoi parlare dei programmi futuri o di qualche progetto che ti sta particolarmente a cuore e che vorresti realizzare?

R – Fra poco, il 5 settembre sarò in scena a Taormina con “Scatola, ossessioni da asporto”, prima nazionale in programma per Taormina Arte, con le musiche dei Pink Floyd suonate dal vivo. È uno spettacolo sulle ossessioni del mondo digitale che distruggono la psiche dell’uomo a cui quest’uomo cerca di ribellarsi ma, alla fine, anche lui ne è vittima ed è distrutto da questo mondo digitale. E poi il 9 settembre, sempre per Taormina Arte, ho lo spettacolo “Sicilitudine” che porto in scena insieme all’orchestra a plettro di Taormina, diretta da Tonino Pellitteri, e Vito Giordano, grande trombettista palermitano e direttore del The Brass Group. “Sicilitudine” è un omaggio all’arte, alla cultura, alla musica, al cinema siciliano: sarà una commistione tra tromba jazz, suoni al plettro ed io stesso che farò delle letture di alcuni brani di Pirandello, di Buttitta ed anche di Luciano Maio, ex leader dei Taberna Mylaensis, di cui ricordo una sua canzone “Amuri ca luntanu stai” che personalmente considero tra le più belle poesie d’amore siciliane, e dovrei concludere con i primi 35 versi della “Divina Commedia” in siciliano tradotta, tra l’altro, da Tommaso Cannizzaro, eminente studioso messinese.

E poi l’11 settembre per “NaxosLegge c’è in programma un convegno su Ezra Pound che si aprirà con me, all’interno di una gabbia: è la gabbia del campo di concentramento americano (che poi sono tutti spariti e non se ne parla ma sono stati tanti e si facevano le stesse cose di tutti gli altri campi di concentramento). Inizio io con uno dei canti pisani di Pound, proprio uno di quelli che ha scritto mentre era in quella cella imprigionato dagli americani. Invece, per la prossima stagione, riprenderò “Gli imperi della mente” con Paolo Crepet  e con grande soddisfazione sarò in giro già da ottobre con la “Baldrini Produzione”.

Ringraziando Elio Crifò per questa bella ed intensa chiacchierata ai nostri lettori diamo appuntamento, sempre su queste pagine, per il prossimo incontro con “La Sicilia al femminile e non solo…” con l’auspicio che, nonostante tutto, non venga mai meno la stimolante forza educativa e propulsiva della rappresentazione teatrale, capace, se valorizzata in modo appropriato, di intercettare le più vaste ed omnicomprensive esigenze del territorio di cui è potenzialità espressiva.

Note biografiche:

Elio Crifò, autore, regista e attore nasce a Roma nel 1970. Si diploma nel 1996 all‘Accademia Nazionale d‘Arte Drammatica Silvio D‘Amico e segue seminari con Susan Strasberg, Federico Tiezzi, Agustì Humet. Nel 1998 si classifica primo al “Corso-concorso speciale di perfezionamento in recitazione per il cinema“ della Scuola Nazionale di Cinema. Come attore teatrale ha lavorato con Oreste Lionello, Gabriele Lavia, Lando Buzzanca, Pier Francesco Pingitore, Carlo Croccolo, Giancarlo Sepe, Giancarlo Cobelli, Ivana Monti, Giorgio Albertazzi. Numerose sono le parti sia nel cinema che nelle fiction televisive. Ha scritto numerosi testi per il teatro tra cui “Tutto è male quel che finisce bene” nel 2001 e “Ciano” per il Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Per il teatro ha diretto: due opere di Eschilo, “Agamennone“ nel 2004 (vincitore del premio “Carola Fornasini“) e “Le Coefore” nel 2005 (vincitore a Helsinki dello scambio cultura internazionale promosso dall‘Accademia della cultura in Finlandia), “Orestea” con Oreste Lionello nel 2007 e “Sogno di una notte di mezza estate” di W. Shakespeare (in coregia con Emilio Bonucci) nel 2003. Negli anni 2013, 14, e 15 ha messo in scena “La classe diGerente” 1, 2 e 3, un testo per creare un ponte di comunicazione con la classe dirigente. Dal 2017 ha messo in scena “Esotericarte”, con la partecipazione di Vittorio Sgarbi e Piergiorgio Odifreddi, e dal 2020 “Gli imperi della mente”.

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