Il cibo tra scrittura, bisogno e gesto d’arte: presentato il nuovo saggio di Dora Marchese

Il cibo come bisogno, come un superfluo, o come gesto d’arte: un concetto che va dalla letteratura piĆ¹ povera che si esplica nella fame (I Malavoglia,Giovanni Verga) a “Il Pranzo di Babette” (Gabriel Axel)

Il cibo, quindi, riletto in chiave letteraria, ĆØ protagonista del libro di Dora Marchese “Il Gusto della Letteratura – La dimensione gastronomico alimentare negli scrittori italiani moderni e contemporanei”, presentato Sabato 7 Giugno all’Azienda Ospedaliera Garibaldi di Catania, e a Palazzo della Cultura in presenza di Angelo PellicanĆ² (commissario straordinario arnas Garibaldi) Francesco Basile, preside della scuola di medicina di Catania, Francesco Santocono (delegato del Sindaco per le politiche sanitarie e professore di diritto sanitario), e Orazio Licandro, Assessore ai saperi e alla bellezza condivisa. Moderazione di Aurelia Nicolosi. Alberto Bonavia (attore professionista diplomato allo Stabile) ha letto alcuni brani tratti dal libro di Giovanni Verga, Filippo Tommaso Marinetti, Italo Calvino… L’introduzione ĆØ a cura di Simonetta Agnello Hornby.

Dora Marchese, Docente di Letteratura Italiana alla facoltĆ  di lettere dell’universitĆ  di Catania, si muove con destrezza tra autori che spaziano fra la metĆ  dell’800 e la seconda metĆ  del 900: Artusi; Manzoni; Collodi; De Amicis, Verga, Pirandello, D’Annunzio, Vittorini, Tomasi di Lampedusa, Brancati, Visconti, Calvino e Gadda…

Si va dal periodo risorgimentale coi suoi caffĆØ e le osterie, cruciali luoghi dā€™incontro di uomini e idee, con le sue rivoluzioni e con i suoi eroi – spiega l’autrice – Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele III, ma anche Pellegrino Artusi, che ha influenzato capolavori come Pinocchio e I promessi sposi ā€“ alla straordinaria esperienza di narratori anagraficamente vicini ma stilisticamente lontani ā€“ come Verga, dā€™Annunzio, Pirandello ā€“ attraversando il Futurismo ā€“ dove la cucina ĆØ sorprendente sintesi di unā€™esperienza artistica totale e totalizzante ā€“ per approdare al secondo Novecento con i siciliani Tomasi di Lampedusa, Vittorini, Brancati e i ā€œvisionariā€ Calvino e Gadda. Una galoppata fra i secoli XIX e XX che vede evolversi significati e significanti assegnati al cibo in uno dei momenti piĆ¹ delicati della storia italiana. Lā€™ampia fortuna della funzione mimetico-realistica, lascia progressivamente il campo allā€™impiego di altre piĆ¹ ā€œmoderneā€ di tipo connotativo, metanarrativo, simbolico. Emblema del progresso dei tempi e del mutare della Weltanschauung degli scrittori“.

La critica degli scrittori futuristi sulla pastasciutta a favore del risotto alla milanese, era in fondo una provocazione politica o c’era dell’altro?

I futuristi furono promotori di una gastronomia scenografica rivoluzionaria, provocatoria e trasgressiva – spiega la scrittrice – una vera e propria Ā«rivoluzione ‘cucinaria’ che mettesse in relazione la dimensione estetica, il cibo e lā€™ascendente che questo puĆ² avere sulle caratteristiche fisiche e spirituali delle Ā«razzeĀ». Lā€™obiettivo dichiarato era quello di rivoluzionare il pasto attraverso il coinvolgimento di tutte le sfere sensoriali, abolendo il Ā«quotidianismoĀ mediocrista nei piaceri del palatoĀ» e creando nuove pietanze. I futuristi sono riusciti a conquistarsi un posto nella storia della gastronomia mondiale e a contribuire, grazie al loro tentativo di rottura, alla formazione di una nuova cultura culinaria italiana che scongiurando lā€™esterofilia si sostituisse aĀ quella precedente. Marinetti auspica la sostituzione della pastasciutta e del cibo ordinario con surrogati alimentari in capsule ideate dallā€™industria della chimica. Unā€™intuizione che oggi ha riscontri pratici nella procedura di conservazione di svariati alimenti o nellā€™uso sempre piĆ¹ ampio degliĀ integratori alimentari. La cucina futurista ha dunque precorso i tempi”.

Ne “A la recherche du temps perdu” di Proust, la sinestesia ĆØ la protagonista del famoso passo in cui Charles Swann immerge la madaleine nel tĆØ e, gustandola, ricorda la sua infanzia: Qual ĆØ il rapporto tra il cibo e le sensazioni?

“Il cibo ĆØ da sempre veicolo della memoria: scrivere di cibo e di cucina ĆØ un doppio piacere: sembra di mangiare due volte. Il rapporto fra cibo e parola ĆØ stretto e intenso: parlare ‘ĆØ come inghiottire ciĆ² che si vede, o ciĆ² che si legge’. Parlare o scrivere del gusto ĆØ un riassaporare, ĆØ memoria di un sapore, ricordo di un profumo. Il gusto tende a trovare equivalenti verbali, attribuzioni degne della consistenza materica del cibo o della bevanda che si vuole illustrare. La letteratura ĆØ perciĆ² capace di saziare a parole, di instaurare una connessione fortissima fra le sfere vitali dellā€™uomo capace di farlo librare, attraverso il terreno dellā€™urgenza della sopravvivenza ma anche della soddisfazione del piacere, sulle ali dellā€™immaginazione e della fantasia. Il cibo, per Brillat-Savarin, agisce non solo sul corpo dellā€™uomo ma anche sul suo spirito e sulla sua immaginazione. Consente di appropriarsi del mondo e di rielaborarlo, come racconta Proust ne “La strada di Swann” nel famoso episodio delle madeleine”.

Come pensi che uno scrittore vegano descriverebbe una scena in cui il protagonista di un libro mangia la carne?

“Io non sono vegana e quindi non posso rispondere con cognizione di causa. Immagino che la descrizione di un pasto a base di carne per un vegano sarebbe qualcosa a metĆ  tra l’orrido e il repellente. Ho infatti notato che i vegani sottolineano molto l’aspetto truculento e dannoso alla salute e allo spirito umano della macellazione e uccisione di altri esseri viventi. In propositoĀ posso solo dire che leggere – quindi cibare la mente – non ha controindicazioni, ma anzi ci nutre e ci fa crescere bene e con gusto, coltivando la parte migliore di noi: quella della creativitĆ , della creativitĆ  della bellezza”.

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