Chiude gli occhi il divo della politica… R.I.P. Giulio Andreotti

A 94 anni anni ci lascia Giulio Andreotti. Sette volte  presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, del Bilancio, della Difesa, dell’Industria, del Tesoro, delle Finanze e dell’Interno. Ha contribuito a scrivere la Costituzione

ROMA  – “Il potere logora chi non ce l’ha“. È tutta in questo motto la vita di Giulio Andreotti, iniziata il 14 gennaio del 1919 a Roma e nella sua città terminata oggi. Di lui, “il divo Giulio” di potere ne ha avuto sempre tanto, per qualcuno fin troppo. Del resto l’icona della politica italiana nei vari governi che si sono succeduti dal 1946 al 1992 è stato tutto: sette volte presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, del Bilancio, della Difesa, dell’Industria, del Tesoro, delle Finanze e dell’Interno. Ha contribuito a scrivere la Costituzione, si è confrontato da imputato con i magistrati, è stato senatore a vita, maestro di molti, ispirazione per un’intera classe politica.

Ripercorrere la vita di Giulio Andreotti è come rivivere la storia dell’Italia repubblicana, perché la prima volta che Andreotti fece politica c’erano ancora i Savoia. Poi, la guerra e dopo la Costituente, nella quale era il più giovane. Nasce lì, con il cardinal Montini il rapporto privilegiato di Andreotti con il Vaticano: fu infatti il futuro Papa a promuoverlo presso Alcide De Gasperi perché gli concedesse un incarico di governo. Fu così che Andreotti diventò per la prima volta sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Da quel momento, fu un crescendo e non ci fu governo cui Andreotti non prese parte.

Ma più che un elenco sterile di incarichi, per capire la vicenda personale e politica di Andreotti occorre sfogliare i libri di storia, attraversare il boom economico degli anni ’60, l’austerity e le rivendicazioni sindacali dei primi anni ’70, gli anni di piombo, il terrorismo palestinese e mediorientale, la rinascita degli anni ’80 e il crollo della prima Repubblica con Mani Pulite, da cui, comunque, Andreotti uscì colpito ma di striscio, come lui stesso soleva ricordare. Del resto, anche i suoi detrattori più accaniti, gli riconoscono quello che in politica è il dono più grande, la capacità di sopravvivere agli scandali, ai ribaltoni, alle accuse, ai processi, ai rivali e anche agli amici.

Per capire l’Andreotti politico non basta guardare la sua attività, ma investigare la natura dell’uomo, un tipo calmo, meticoloso, pignolo e con una capacità di ricordare quasi disumana. Fu proprio la sua calma che lasciò più volte tutti di stucco: Andreotti era infatti serafico quando assicurò che Arafat invitato a parlare al Parlamento italiano e presentatosi a Montecitorio con la pistola, “non avrebbe sparato a nessuno”. Lo disse con la stessa voce e la stessa faccia con cui baciò e abbraccio Cicciolina il primo giorno da deputata radicale. La stessa identica espressione con cui rispose alle domande dei magistrati di Palermo che lo rinviarono a giudizio per i suoi rapporti presunti con Salvatore Riina e con la cupola di Cosa Nostra. Andreotti passo indenne attraverso tutto compresi i giudizi durissimi che il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro diede di lui nelle lettere scritte durante la prigionia, prima di essere ucciso dalle Br.

Andreotti, però, non è solo politica italiana: di lui, infatti, va ricordato il peso a livello mondiale e il rapporto strettissimo con gli Stati Uniti d’America, un rapporto che non gli impedì, però, di coltivare altrettante buone relazioni con i palestinesi, ponendo in qualche misura l’Italia al riparo dalla violenta ondata di attentati che squassò l’Europa negli anni ’70. Anche qui un adagio aiuta più di mille episodi: gli italiani “hanno la moglie americana e l’amante araba”.

L’aneddotica è l’ultimo dei capitoli dedicati ad Andreotti ma, come tale, è forse il più ricco e il più completo. I soprannomi, innanzitutto: divo Giulio, la sfinge, Belzebù, la vecchia volpe, il papa nero, sono sono alcuni dei nomignoli che stampa, politica, cinema, letteratura e canzone gli hanno attribuito. Di racconti o frasi celebri a lui attribuite c’è di che riempire una enciclopedia, ma forse uno, il meno noto, inquadra più di tanti altri l’uomo più che il politico. Rimini, meeting di Cl, anno 2003: la platea tributò ad Andreotti ospite d’onore 20 minuti di standing ovation. Lui stette immobile a sentirli tutti. Non pianse e non rise. Alla fine, si alzò e se ne andò. (Fonte: TMNews)

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