Azerbaigian ricorda il XXIV anniversario del genocidio di Khojaly

 L’Azerbaigian oggi ricorda il Genocidio di Khojaly, di cui ricorre il XXIV anniversario. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1992, le forze militari dell’Armenia attaccarono la città di Khojaly, nella regione azerbaigiana del Nagorno-Karabakh, perpetuando un genocidio contro i civili azerbaigiani esclusivamente a causa della loro appartenenza etnica.

 

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Il resoconto delle vittime azerbaigiane del genocidio è di 613 persone, tra cui 106 donne, 83 bambini e 70 anziani; 56 persone vennero uccise con particolare crudeltà. Otto famiglie totalmente sterminate. 25 bambini persero entrambi i genitori e 130 bambini un genitore. Come conseguenza di questa tragedia, 487 persone furono rese invalide. 1.275 civili, incluse donne e bambini, vennero catturati e subirono violenze, umiliazioni, gravi ferite fisiche, durante la loro prigionia. Tra questi, 150 prigionieri sparirono senza lasciare traccia.
 Human Rights Watch ha descritto il genocidio di Khojaly come “il più grande e orribile massacro del conflitto” del Nagorno-Karabakh tra Armenia ed Azerbaigian. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha valutato il genocidio di civili azerbaigiani a Khojaly come atti di particolare gravità che possono costituire crimini di guerra o crimini contro l’umanità.
Gli eventi di Khojaly hanno avuto luogo nel corso di un periodo in cui l’attuale presidente in carica della Repubblica dell’Armenia, Serzh Sargsyan, era a capo del “Comitato della SDF”, regime separatista illegale e i suoi ricordi sono una delle più importanti fonti di prova. Nel suo libro “Black Garden: Armenia e Azerbaigian attraverso la pace e la guerra” il giornalista britannico Thomas de Waal, che ha intervistato Serzh Sargsyan, ha reso pubblici i contenuti delle loro conversazioni: “Prima di Khojaly, gli azerbaigiani pensavano che stessimo  scherzando. Ritenevano che gli armeni non avrebbero potuto arrecare danno alla popolazione civile. Ora si poteva rompere quello stereotipo e questo è quello che è successo”.
Da oltre 20 anni, con l’occupazione militare da parte dell’Armenia del Nagorno-Karabakh e dei sette distretti azerbaigiani circostanti questa regione, l’Armenia ha invaso, in cifre, il 20% del territorio dell’Azerbaigian. Tale occupazione ha causato la morte di 30 mila cittadini dell’Azerbaigian, e ha costretto la comunità azerbaigiana del Nagorno-Karabakh, regione dell’Azerbaigian, e delle 7 regioni circostanti,  ad abbandonare le proprie case. Come risultato della pulizia etnica, nei territori occupati non è rimasto un singolo azerbaigiano. Oggi in Azerbaigian, paese con 10 milioni di abitanti, vive oltre un milione di rifugiati e di profughi interni. Questa situazione rende l’Azerbaigian leader nel mondo per la percentuale più alta di rifugiati e profughi rispetto al numero di abitanti.
Ci sono quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, n.822, 853, 874 e 884 del 1993, che invocano il ritiro delle forze armate armene dai territori dell’Azerbaigian occupati e il ritorno alle proprie terre dei rifugiati e dei profughi interni azerbaigiani, che sono state ripetutamente ignorate, così come altri documenti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea, del Parlamento Europeo, di OSCE, della NATO, etc.
I parlamenti di Pakistan, Messico, Colombia, Romania, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Repubblica Ceca, Giordania, così come gli organi legislativi di 20 Stati degli Stati Uniti, inclusi New-Mexico, Arkansas, Oklahoma, Pennsylvania, Connecticut, Western Virginia, New-Jersey, Tennessee, Arizona e Hawaii hanno adottato documenti relativi al genocidio di Khojaly, ed è notizia di oggi che anche lo Stato dell’Idaho degli Stati Uniti ha proclamato il 26 febbraio “Giorno del ricordo di Khojaly” in onore delle vittime.
Il genocidio di Khojaly e gli altri crimini commessi dall’Armenia contro la popolazione civile dell’Azerbaigian dovrebbero ricevere la condanna politica e giuridica meritata da parte della comunità internazionale. In caso contrario, i crimini impuniti aprono la strada a nuovi crimini.

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