Una notte con i volontari dell’unità di strada antitratta

 

A Palermo i volontari dell’unità di strada antitratta incontrano e aiutano le ragazze, alcune giovanissime. “Rabbia e impotenza”

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Sono belle, giovanissime. Alcune con pochissima consapevolezza del tunnel infernale in cui sono entrate. Sono le oltre cento ragazze straniere, prevalentemente nigeriane ma anche magrebine e romene, che la notte sono costrette a vendere il proprio corpo per le strade della città: schiave bambine, entrate giovanissime nel circuito della tratta che, una volta in Italia, devono pagare un debito altissimo prima di ritornare “libere”. Per loro si fa pochissimo e sembra che il problema non interessi a nessuno. A dirlo sono i volontari che fanno parte dell’unità di strada che assiste le ragazze cercando di dare, oltre ad acqua e cibo, conforto e una possibilità di dialogo. Redattore Sociale ha trascorso una notte a fianco dei volontari che sono riusciti ad incontrare molte delle ragazze (circa 50) che si trovavano nel tratto che dalla Favorita arriva al porto.

L’unità di strada parte con un pulmino da una località del centro storico alle 22. Tra i volontari ci sono un frate francescano, un padre salesiano, due donne e una suora comboniana. La prima tappa è all’interno del grande parco della Favorita dove i volontari vogliono festeggiare il compleanno di una giovanissima ragazza. Il luogo dove ci fermiamo si trova nel buio più totale e c’è già con le ragazze una macchina ferma, che non appena vede il pulmino va via a luci spente. A riscaldarsi con il fuoco acceso troviamo tre ragazze che riconoscono subito i volontari e li salutano con baci e abbracci. Manca però la giovane che compie gli anni; è insieme ad un cliente. Le ragazze sono contente di scambiare qualche parola e chiedono di mettersi in cerchio e di pregare. “Sono vere e proprie bambine – dice la suora comboniana Valeria Gandini da oltre 20 anni impegnata sul tema – che avrebbero ancora voglia di giocare. Quando ci vedono, anche per pochissimo tempo e’ come se si volessero affidare subito a noi. Nella loro preghiera chiedono di non morire e di allontanare tutti i pericoli della strada”. Una delle ragazze, non prestando attenzione allo squillo continuo del suo telefonino, anima in inglese con canti e balli la sua preghiera coinvolgendo anche le sue compagne. Nel frattempo ci raggiunge anche la festeggiata che dice di compiere 22 anni ma sembra una diciassettenne. Emozionata ed incredula accetta volentieri di condividere il dolce e le bibite spegnendo anche una candela.

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I volontari incontrano altre quattro ragazze, che sembrano tutte giovanissime e arrivate in Italia da poco. Pregano anche loro e ringraziano con molto garbo per l’acqua e le merendine ricevute. Tra di loro a non passare indifferente è una bellissima piccola donna, forse di 14 o 15 anni, che è controllata dalle compagne più grandi. “La tenerezza è incredibile – continua suor Valeria Gandini -. C’è anche una forte impotenza mista a rabbia perché non è possibile che non si faccia niente per aiutarle in modo diverso. Certamente noi non bastiamo”. “Purtroppo bisogna constatare che in questi anni il numero di vittime della tratta è cresciuto e anche l’età si è notevolmente abbassata. Le minorenni,  per fare perdere le  tracce alle autorità che ricevono le segnalazioni, vengono spostate da una strada all’altra o addirittura trasferite periodicamente in diverse città. –  spiega fra’ Loris D’Alessandro – Oggi l’obiettivo dovrebbe essere quello di lavorare su più fronti per farle uscire dalla strada perché più ci stanno dentro più si perdono da tutti i punti di vista, rischiando di ammalarsi e di diventare sieropositive”.

Incontriamo un altro gruppo di ragazze adolescenti che ci accolgono ridendo e poi ancora altre in un’area verde della zona portuale dove con le giovani condividono lo spazio anche dei senzatetto. Salutano i volontari e sembrano euforiche e molto scherzose. Soltanto la più giovane di loro, molto preoccupata ed impaurita, dopo avere pregato ha quasi le lacrime agli occhi.

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Infine in un’altra postazione a condividere un’ampia parte di marciapiede ci sono da una parte tre africane e dall’altra due donne marocchine. Le marocchine, con una situazione molto diversa dalle nigeriane, hanno voglia di parlare. Le due donne che vivono nella stessa casa dicono di ritrovarsi in questa situazione per bisogno. Entrambe hanno perso il lavoro e hanno figli piccoli da mantenere. “Ho pure una madre disabile di cui mi devo occupare – dice la più grande delle due, molto provata -. Ogni notte succede di tutto perché i pericoli sono tantissimi. Ringrazio Dio ogni sera se alla fine mi fa tornare a casa sana. Spero di trovare presto un lavoro e di uscirmene al più presto”. Concludiamo il giro avvicinandoci ad una giovane donna romena in una postazione solitaria rispetto alle altre. La donna dice di avere come unico obiettivo quello di raggiungere presto la somma sufficiente per raggiungere la figlia di sei anni lasciata in Romania.

“E’ un vero dramma ancora purtroppo sottovalutato perchè si fa ancora troppo poco per aiutarle – continua suor Valeria Gandini -. Sono ragazzine letteralmente abbandonate a se stesse di cui nessuno si prende cura -. Per essercene tante ci sono sicuramente tanti clienti, senza scrupoli, disposti a comprarle. Occorrerebbe intervenire anche su di loro. La sensibilizzazione va fatta a più livelli, anche con la prevenzione, coinvolgendo cittadini e istituzioni ognuno per la sua competenza. L’appello va rivolto a tutti perché dovremmo reagire tutti davanti a questa umiliazione della donna resa schiava in questo modo. Continuiamo a chiederci quanto i politici siano davvero interessati ad intervenire per porre fine a questa schiavitù. Manca ancora la giusta determinazione ad attivarsi per fermare le grosse organizzazioni di trafficanti di esseri umani”.

“Non c’è una reale volontà politica di cambiare le cose. Alcuni aspetti su cui puntare sono senz’altro la prevenzione nelle scuole e la formazione dei giornalisti che devono scrivere sul tema parlando di vittime della tratta e non di prostitute, senza alimentare pregiudizi e giudizi approssimativi – aggiunge fra’ Loris D’Alessandro -. Inoltre per chi riesce a denunciare, le case protette sono ancora pochissime e altrettanto pochi sono i progetti di accompagnamento sociale”.

Fonte Serena Termini di Redattore Sociale

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