1669, l’anno in cui iniziò l’eruzione più devastante dell’Etna

Ieri, l’Etna ci ha stupiti ancora una volta con una delle sue imponenti eruzioni. Oltre la colata lavica, anche pioggia di lapilli che hanno raggiunto sia i paesi etnei che la città di Catania.

Il maestoso vulcano è sempre più attivo e ci regala sempre degli spettacoli mozzafiato. La fase “parossistica” ha avuto origine dal cratere Sud-Est e la colata si è poi riversata nella Valle del Bove a quota 1.700 metri, senza alcun danno per i centri abitati.

Chi non conosce la storia del vulcano più alto d’Europa, si chiederà: quando avvenne l’eruzione più potente e devastante? L’8 marzo del 1669 fu una data che cambiò le sorti degli abitanti di quel tempo, cioè quella in cui iniziò la prima fase eruttiva. Questo evento fu talmente grave e sconvolgente da attirare l’attenzione di tutta l’Europa e fu appunto chiamato “l’anno della rovina“. Nei primi anni del 600, l’attività dell’Etna si limitava solo sulla cima di essa, ma più in là, a causa di una colata laterale, la lava scese ancora più giù. In seguito, susseguirono altre attività eruttive più considerevoli, come quella cominciata nel 1614 e terminata nel 1624, proprio ben dieci anni. Nel 1634, ci fu un’eruzione nei pressi di Fleri (frazione di Zafferana Etnea) che durò due anni. Nel 1646 si formò il “cono” di Montenero, ovvero una colata che raggiunse Linguaglossa e Randazzo. Tra il 1651 e il 1654, raggiunse il versante di Bronte, che distrusse una fetta di centro abitato e di campagna. La fatidica eruzione del 1669, ebbe inizio prima con delle scosse di terremoto avvenute un paio di settimane prima del tragico evento distruttivo. L’entità dei terremoti non fu molto lieve, infatti provocò danni alle abitazioni e ai terreni. La gente si ritrovò a dormire fuori per il terrore che susseguisse qualcosa di più tragico. La causa di tutto ciò fu la pressione della lava che cercava di risalire in superficie, provocando delle fratture alle rocce. L’assenza di strumenti per determinare la gravità dei sismi e di anomale attività vulcaniche (di cui oggi gli geologi sono fortunatamente in possesso), rese tutto più spaventoso per gli abitanti dei paesi che ebbero la sfortuna di vivere alle pendici dell’Etna. L’11 marzo, la lava raggiunse la superficie, quest’ultima riportò una frattura di oltre nove chilometri di lunghezza e che andò via via ad aumentare. Si aprirono così delle bocche eruttive, che provocarono degli enormi boati, avvertiti anche a Messina e Siracusa. All’apertura della settima bocca, iniziò la colata lavica che arrivò a Pedara, Trecastagni e Viagrande. Un cono di lava distrusse le cittadine di Levuli, Guardia e Malpasso (odierna Belpasso). La continua apertura di bocche vulcaniche rese tutto più distruttivo, più di quanto non lo fosse già. Circa 1400 persone rimasero senza dimora già a partire dalle prime ventiquattro ore. La lava continuò a scendere verso Mascalucia e questo destò già preoccupazione agli abitanti di Catania, che quel giorno portarono il velo della Santa Patrona Sant’Agata, in processione fino a Misterbianco. In quell’anno, la popolazione ammontava a circa 20mila abitanti, mentre oggi se ne registrano oltre 300mila (e oltre 1 milione in tutta la provincia).

Il 14 marzo, la colata giunse a San Pietro Clarenza e Camporotondo e tra il 15 e il 17, San Giovanni Galermo. Il 18 marzo, Valcorrente, ma si fermò perché situato nei pressi di colline che ne impedirono l’avanzata. Si formarono altre ramificazioni, tra cui una si diresse verso Catania. Il 29 marzo seppellì Misterbianco e Monte Po, seminando il panico tra gli abitanti che si prepararono per scappare via. Il magma scese sempre di più, travolgendo perfino il Lago di Nicito, uno storico lago che raccoglieva le acque piovane, ma che in seguito all’eruzione scomparve. Il 16 aprile, impattò le mura della città (Catania fu recintata da mura difensive) e non potendole scavalcare si fece strada verso il circo Massimo, edifici di età romana, il Castello Ursino (anch’esso recintato da mura) e si riversò infine in mare il 23 aprile. Pur arrivando in mare, allargandosi, distrusse i terreni coltivati e crebbe in altezza abbattendo una parte delle mura della città. Il 30 aprile, entrò ufficialmente all’internò della città, seppellì il Monastero dei Benedettini e continuò a fare terra bruciata. Da lì, si iniziò con la costruzione di argini di pietra per bloccarne l’avanzata, e con la distruzione di alcuni edifici non importanti, per difenderne altri di rilevante importanza. L’8 maggio, la colata si bloccò spontaneamente, distruggendo in tutto appena 300 abitazioni e alcuni edifici all’interno delle mura. Prese però di mira le mura del Castello Ursino, riuscendo infine a scavalcarle. Il 16 maggio, si spense e il 7 giugno ne arrivò un secondo flusso che questa volta riuscì a circondarlo completamente. L’ultima ondata arrivò il 26 giugno e si riversò ancora una volta in mare. L’eruzione si concluse del tutto il 15 luglio 1669.

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