Musica: l’estate siciliana sarà arricchita dalla presenza di Marcus Miller

Viene davvero da stropicciarsi gli occhi se si volge lo sguardo alla discografia di Marcus Miller

Marcus Brown Photo @andrew dunn

Viene davvero da stropicciarsi gli occhi se si volge lo sguardo alla discografia di Marcus Miller: una carriera solista lunga 35 anni, collaborazioni durature con David Sanborn e Miles Davis, un album con Michael Petrucciani e collaborazioni con personaggi dello spessore di Eric Clapton, Aretha Franklin, Jay-Z, Elton John, George Benson, Herbie Hancock e Wayne Shorter. Ed è solo una piccola percentuale di una lista che sarebbe davvero troppo lunga da riportare per intero. Il 59enne musicista di New York ha messo il suo basso e la sua sapienza musicale (a volte sottoforma di produzione) al servizio di alcuni grandi e questi grandi si sono giovati dell’arte di Marcus.

Il basso è il suo strumento e in “Laid Black” al centro del villaggio, naturalmente, c’è proprio il basso. Non sono poi molti gli album che ruotano attorno a questo strumento. Solitamente a dettare legge sono chiamati voce e chitarra. Oppure il pianoforte, le programmazioni, in alcuni casi i fiati, ma la sezione ritmica – basso e batteria –, fondamentale per dare solidità all’impalcatura, è difficile che si possa ritagliare spazio sufficiente per farla da protagonista. Solo pochi fenomeni ci riescono, e Marcus Miller lo è.

DSC1259 Nella musica pop è abbastanza raro trovare esempi di questo genere, molto più semplice nel jazz dove il virtuosismo dello strumento ha un peso maggiore e la struttura dei brani risponde ad altre regole. Marcus Miller è sì un jazzista che predilige il sottogenere fusion o quello funk. Ma non è un purista del jazz tout-court perché ha l’ambizione di voler travalicare i fittizi muri che separano i generi e di poter suonare ogni spartito, ben assecondato da una band che ha la sua stessa visione e malleabilità.

“Laid Black” é una lunga suite per lo più strumentale composta da nove brani dalla lunghezza minima, come si conviene, di almeno cinque minuti. 

“Laid Black” non è un disco visionario, seminale, difficile, noioso o urticante. Nulla di tutto questo, è un disco godibile di buona fattura. Marcus Miller riesce con la grande classe di cui dispone a far convivere felicemente le mille sfumature di cui sono composti generi musicali all’apparenza dissimili rischiando sì di fare impazzire la maionese ma riuscendo in realtà a rendere più pop e fruibile a un pubblico più largo una musica che altrimenti rischierebbe di essere etichettata come alta, come colta e confinata nel recinto degli ‘iniziati’.