Egle Doria, protagonista de “Le Troiane”

Intervistata la famosa attrice di teatro, Egle Doria.  Le “Troiane, canto di femmine migranti” è andato in scena dal 18 al 21 maggio e dal 25 al 28 maggio presso gli ambulacri del Teatro Greco Romano di Catania.

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Intervistata la famosa attrice di teatro, Egle Doria, che ha debuttato nel “Le Troiane, canto di femmine migranti”

Nelle “Le Troiane” gli uomini troiani sono stati uccisi e le donne consegnate come schiave ai vincitori, quanto sono aguzzini i vincitori? In amore ed in guerra bisogna essere vittime e/o sconfitti per avere l’approvazione, l’affetto, e la comprensione da parte degli altri?

Noi siamo quelli che vivono l’epoca della guerra perenne, che silente si insinua nelle nostre vite attraverso il chiasso dei media. Sembra sempre che non sia in casa nostra ed invece lo è. Sembra che le vittime stiano da una parte ed i carnefici dall’altra, ma tutto si mischia confondendo le anime. Troia nei secoli è ogni città distrutta dall’arroganza, dal non riconoscimento dei suoi figli. L’amore si nutre di gioia, l’atteggiamento vittimistico genera esso stesso vittime.

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Vi è eroicità nella sventura?

La sventura è sventura e basta… si può diventare eroi quando si riesce a sopportarla e poi cambiarla.

Quanto il nostro stato attuale di donna è ancora legato ad antichi preconcetti?

Credo che i preconcetti siano insiti nella mente umana. Ci saranno sempre, nonostante in luoghi come la nostra terra si sia conquistata una coraggiosa emancipazione. Io sono il frutto delle conquiste di mia madre e spero che mia figlia possa essere il frutto delle mie conquiste.

Quanto bisogna lottare ancora per trovare la tanto agognata uguaglianza?

Per parlare di uguaglianza uomo-donna dovremmo avere dinanzi un mappamondo, e scoprire cosa succede dove abbiamo puntato il dito. Cosa intendiamo per uguaglianza? Per ogni popolo il rapporto uomo donna è diverso. Il punto di partenza è accettare le differenze allora sì che potremmo smettere di lottare…

Si riesce con un’interpretazione teatrale a lasciare il segno della violenza subita nei secoli dalle donne negli animi degli spettatori? Si riesce a far mancare il fiato in gola così come manca il fiato in gola fino alla morte nei corpi delle vittime, delle donne che continuano a subire la forza omicida degli uomini?

A questa domanda dovrebbe rispondere il numeroso ed eterogeneo pubblico che ha assistito allo spettacolo. Noi interpreti abbiamo indossato la pelle ed inghiottito l’anima di quelle donne, con l’intento di restituire con giustizia la loro vicenda e di renderla universale, le donne di Troia come le Nigeriane, Ecuba e Andromaca come le madri di Manchester, di Nizza, di Parigi, di Londra, le madri di oggi 30 maggio 17 a Baghdad.

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Pensi che la nostra società possa mai accettare il nostro ruolo di donne che non vivono più all’ombra di una sicuro stipendio maschile?

La nostra società ha accettato benissimo lo stipendio femminile. La donna ha bisogno solo di essere protetta dalla follia spesso premeditata di certi uomini, che non riescono a comprendere cosa siano amore e libertà.

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