La parola all’architetto Enrico Evangelisti

EF_Archidesign: dal progetto all’opera finita, pensando al cliente e al risultato ottimale. La parola all’architetto Enrico Evangelisti.  

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La casa deve essere concepita come punto di incontro, di discussione e di relazione sociale con le persone a noi più care”. Un concetto che guida molti dei progetti dell’architetto Enrico Evangelisti: concreto, con basi teoriche molto forti e una grande attenzione al modo di vivere oggi, fatto di tratti comuni, ma anche   differenze che si devono esprimere, sempre. Ne parliamo con lui nella sua abitazione romana

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Architettura: una descrizione in sintesi di che cosa è per lei l’architettura?

Il termine architettura ha un significato intrinseco molto importante, anche se purtroppo nel corso degli anni è stato sin troppo abusato e dunque inflazionato. Io definisco architettura tutto ciò che è meticolosamente pensato, progettato e infine costruito: proprio per questo motivo non dobbiamo correlarla esclusivamente all’edilizia, ma a tutto il sistema artificiale realizzato dall’uomo. L’architettura a mio avviso, è quella linea di confine che unisce la metafisica alla fisica, l’immaginazione alla materia, il vuoto al pieno e la luce alle ombre.

Un concetto, e qualche divagazione, per descrivere i suoi progetti nel residenziale?

Ribadisco sempre ai miei committenti un concetto fondamentale, ovvero la relazione tra l’uomo e lo spazio. Ritengo infatti che sia necessario fare una dovuta “purificazione”, prima di poter procedere al concepimento dell’idea progettuale: spesso i committenti vengono con dei concetti precostituiti, con dei “must” inderogabili, rivolti verso determinati oggetti o complementi d’arredo, dimenticando però il bene primo dell’architettura: ovvero la relazione tra l’uomo e lo spazio. Ognuno di noi ha delle esigenze diverse, e vive la casa in orari e modi differenti, ma il denominatore unico che ci accomuna risiede nella qualità degli spazi che viviamo; adoro infatti la citazione di Rogers: “Non si può pensare un’architettura senza pensare alla gente”.

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Il work in progress con il cliente: come inizia, come stimola le informazioni, come li indirizza su quanto è meglio nel progetto?

Dopo il primo contatto con il committente, cerco di incontrare quanto prima tutta la sua famiglia o i suoi conviventi, in modo tale che ognuno di loro possa esprimere le proprie esigenze, e raccontarmi quella che secondo il proprio punto di vista, sarebbe la casa dei suoi sogni: tutti gli “inquilini” della casa infatti devono partecipare alla genesi di progetto, proprio perché quel progetto definitivo che verrà messo su carta, diventerà parte integrante della loro vita. Ognuno ovviamente avrà un peso specifico importante sull’economia progettuale, del quale devo necessariamente tenere conto, ma l’idea di base è quella di pensare a uno spazio ideale per ogni membro della casa, uno spazio che sia connettivo e collettivo, che sia il punto di incontro per tutti:  quest’ultimo spesso coincide con il living, che nei miei progetti ha un peso maggiore perché racchiude al suo interno tutta un’altra serie di attività, come ad esempio la cucina, l’office, il music e il reading corner. Dobbiamo infatti superare il concetto di casa tradizionale, dobbiamo avere la forza di aprire quella maledetta porta della cucina, dobbiamo abbattere le mura dello studio e nei casi più estremi anche quelle delle nostre camere: passiamo le nostre giornate tra la scuola, il lavoro e le varie attività giornaliere: la casa deve essere concepita come punto di incontro, di discussione e di relazione sociale con le persone a noi più care.

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I materiali che preferisce e quelli con potenzialità più interessanti?

Per quanto concerne i materiali, cerco sempre di indirizzare i miei clienti verso la scelta di elementi e componenti naturali, proprio per armonizzare e valorizzare gli ambienti; anche se tuttavia non possiamo nasconderci di fronte all’impiego di prodotti artificiali come il gres, che hanno un prezzo minore e una manutenzione minima. Purtroppo infatti trattandosi di ambienti domestici, che vengono vissuti quotidianamente, si punta molto anche al risparmio e alla praticità: difficilmente capita di utilizzare pietre naturali per pavimenti e rivestimenti, mentre il parquet grazie alla produzione dei predefiniti sta avendo un grande ritorno, e in alcuni casi viene impiegato anche come rivestimento per caratterizzare le pareti di determinati ambienti.

Un altro grande ritorno, è quello degli infissi in legno, che grazie alla tecnologia del lamellare, stanno soppiantando il mercato del PVC e dell’alluminio.

I clienti chiedono i living oppure spazi più intimi?

Non possiamo tracciare una netta linea di demarcazione, ma in linea di massima ho riscontrato una differenza nelle richieste progettuali, a seconda da chi vive la casa, e per quanto tempo la vive. Nella mia esperienza personale ho notato che figure di più ampio spessore professionale, come ad esempio liberi professionisti o figure dirigenziali, che passano poco tempo all’interno della propria abitazione, richiedono planimetrie più fluide, con spazi più aperti alla condivisione, e dunque anche polifunzionali; in ragione inversa, persone più legate alla vita casalinga o comunque sedentaria, prediligono un ordine maggiore degli ambienti attribuendo una destinazione d’uso ad ognuno di essi: il “must” generalmente è il seguente: “la cucina deve essere separata dal salone!”

Pertanto, mentre i primi guardano alla condivisione e al dinamismo degli spazi, i secondi prediligono una maggiore intimità e diversificazione degli ambienti.

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Si ispira a qualche modello in particolare, a quale scuola di progettazione?

Indubbiamente durante il mio percorso formativo ho subito il fascino e l’influenza della scuola tedesca del primo Novecento attraverso alcune figure in particolare come Walter Gropius, Mies Van der Rohe, ma anche Adolf Loos: loro sono stati i primi infatti a combattere l’acerrima battaglia contro l’ornamento e il superfluo, e spogliare l’architettura di ciò che semplicemente deve essere: luci, ombre e geometria pura.

Il mio obbiettivo dunque è quello di purificare i miei progetti, e di renderli maledettamente funzionali in ogni cm² a disposizione, proprio perché come sosteneva Sullivan, “la forma segue la funzione”: se una casa, come qualsiasi altra architettura, non è funzionale, allora non può essere bella.

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Da quanto ha aperto la sua attività e come si è evoluta?

Ho aperto ufficialmente la mia attività cinque anni fa, ed è cambiata in modo repentino negli ultimi due anni, ovvero da quando ho deciso di creare il brand EF_Archidesign. Ho capito infatti che almeno nell’ambito civile, l’architetto doveva essere in grado di andare oltre le proprie possibilità, per garantire l’eccellenza anche nei confronti delle cosiddette “opere minori”: è impensabile infatti che un committente sperperi il denaro per poi non ottenere ciò che vuole, a causa di figure non professionali che inflazionano il mondo degli architetti, o di ditte edile il cui unico scopo è rivolto alla speculazione, e non al buon esito del lavoro.

Proprio per questo motivo, ho deciso di affermarmi non solo come architetto, ma anche come imprenditore edile, per combattere una guerra spietata verso il ribasso dei prezzi, verso il lavoro sommerso, e verso quegli standard qualitativi estremamente bassi, che danneggiano la committenza.

Con EF_Archidesign, ho voluto dare sostegno maggiore ai clienti, proprio per offrire un servizio concreto che spazi dal mondo dell’architettura fino ad arrivare alla mera esecuzione del manufatto edilizio.

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