Un miracolo a Richmond

Gli azzurri cercano l’impresa mondiale che manca dal 2008 in territorio americano. L’Italia punta su Nibali, Trentin e Viviani

L’operazione mondiale è già scattata. Gli azzurri di Cassani sono negli States, domenica a Richmond (Virginia) sarà mondiale. Il circuito iridato misura 16,2 chilometri, verrà percorso 16 volte per un totale di 259 km. Il dislivello complessivo è poca cosa, circa 1600 metri. Uno dei mondiali altimetricamente meno significativi degli ultimi vent’anni, più o meno come Salisburgo, Geelong, Copenaghen, un po’ più impegnativo del piatto Zolder. Solo nella parte finale del circuito tre piccoli dentelli cercheranno di renderlo un po’ più complicato, scongiurando in qualche modo la certezza che l’epilogo sia una volata del gruppo compatto. La compagine italiana porta un carniere povero di risultati sia negli ultimi mondiali che nelle grandi classiche.

Non vinciamo l’iride dal 2008, quando a Varese fu Ballan ad alzare le mani. Da allora non piazziamo nessuno sul podio. Il miglior risultato l’ha strappato Nibali, 4^ nell’edizione fiorentina di due anni orsono, prima e poi il nulla, nessuno dei futuri titolari, mi pare, vanti una top ten iridata. Non è andata molto meglio nelle classiche più prestigiose. Inutile stare a ricordare la sequela di insuccessi, anche qui il migliore resta Nibali, spesso buon protagonista ma comunque mai vincente. Con queste credenziali ci apprestiamo ad affrontare uno schieramento agguerritissimo di rivali che oggettivamente lascia pochi spazio alle nostre speranze di vittoria. Se da un lato, infatti, il percorso penalizza oltremodo il nostro esponente migliore, dall’altro non disponiamo di un velocista di primissima levatura in grado di piazzare la botta vincente e che abbia già dato prova di saper tenere la distanza. Detta così la situazione non si presenta rosea, in verità non è facile raccontarla diversamente, tuttavia gli uomini di Cassani hanno dimostrato nelle premondiali buona lena e compattezza, uno in particolare anche una forma invidiabile. Ciò mi ha fatto un po’ cambiare idea e per questa ragione, sognando ad occhi aperti, proverò ad ipotizzare che vi sia anche per noi qualche margine.

Si diceva degli avversari. I favoriti, per forza di cose, sono gli uomini molto veloci capaci di tenere le lunghe distanze. I migliori sono il norvegese Kristoff, pluvittorioso stagionale, i tedeschi Degenkolb, sue le ultime Sanremo e Roubaix, e Greipel, il velocista d’annata, lo slovacco Sagan, sempre nei pronostici che contano, (prima o poi finiremo per azzeccarci), l’australiano Matthews, pronto da tempo per la prima vittoria importante. A loro accosterei Bouhanni, il velocista francese ha buona tenuta sui piccoli dislivelli ed è dato in buona forma. Di una sezione parallela fa parte la folta schiera di uomini discretamente veloci ai quali un gruppo numeroso potrebbe essere indigesto; non per questo sono però tagliati fuori. Parlo di Valverde, Gilbert, Van Avermaet, forse Alaphilppe e Gallopin, difficile ma non impossibile Boonen, Stybar, Rui Costa ed il campione uscente Kwiatowski. Tanti, troppi uomini con credenziali migliori dei nostri, ma fortunatamente c’e’ un ma, ed a questo mi aggrapperò.

L’appiglio è costituito dalle poche difficoltà tecniche che il circuito prevede tutte inserite nella sua parte terminale che potrebbero disinnescare l’inesorabile lavoro degli uomini che cercano la volata. Dall’inevitabile bagarre che nascerà nel gruppo, così in prossimità dell’arrivo, in tanti cercheranno di trarre vantaggio, noi dobbiamo essere in mezzo a loro. Tre piccole salite previste in rapida sequenza negli quattro chilometri finali, assieme alla carreggiata spesso stretta e dal fondo sconnesso, costituiscono un scorcio fiammingo in questo mondiale americano che aggiunge un po’ di sostanza tecnica ad una prima parte del circuito decisamente anonima. I primi due strappi sono in acciottolato. In prossimità del culmine del secondo , lungo soli duecento metri, si raggiungerà la pendenza del venti per cento.

Basterà una buona sparata, guadagnare un piccolo vantaggio e con un po’ di fortuna si puo’ pensare di difenderlo fino all’arrivo. Chi ha dimostrato nell’Agostoni e nel Memorial Pantani di tenere agevolmente i cinquanta all’ora per diversi chilometri non può non averci fatto un pensierino. Ha il dovere di provarci. In ogni caso romperà le uova nel paniere alla testa del gruppo, chi volesse inseguirlo rischierebbe inevitabilmente di essere troppo lungo, a questo punto (seconda alternativa) Trentin e Viviani potrebbero trarre vantaggi insperati. Tatticamente non si potrà però sbagliar nulla, non ci sarà tempo e modo per rimediare.

Io mi porto dunque sulla North 23^ Street, altrimenti detta Richmond Hill. Lì aspetterò pazientemente un miracolo di Nibali.

Sarebbe un successo straordinario, a sperar non si fa peccato e non costa nulla!

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