‘The Summit’, l’appello a vergognarci e a (ri)guardare

Dal 21 febbraio in 10 sale cinematografiche verrà proiettato il film ‘The Summit’. Film – inchiesta di Franco Fracassi e Massimo Lauria sul G8 di Genova del 2001

ROMA – Ha da passà ’a nuttata”. Una notte che grava stanca e statica. Tre giorni di limbo, umido di sospetti e di non detto. Il G8 di Genova, 2001, annus horribilis. Del qual ha già fatto memoria straccia l’Italietta bifronte. Quella dei festival che oggi riescono a stupire nella mota degli stereotipi riscodellati con garbo, e quella dei processi civili azzoppati e dei diritti lesi, che non riesce a stupirsi né ad indignarsi mai, se non in qualche ravvedimento “flash”. Perché? Farsi domande e partecipare al passato-presente è così assurdo e intollerabile che si diventa, per contrappasso pilotato, invisibili.

Lo ha denunciato di nuovo Franco Fracassi, reporter e regista, insieme a Massimo Lauria, con The Summit. Genova: i 3 giorni della vergogna, presentato in anteprima a Berlino e apprezzato dalla critica per la carica dirompente di filmati e interviste inedite.

 Se cominciassimo a vergognarci, di non aver visto e di non voler vedere, tutto tornerebbe. The Summit non vuole infittire la schiera dei film sul G8, vuole imporsi come prima vera inchiesta. Gli autori districano su un filo apparentemente lineare ma fitto di “connessioni”, i fatti, solo i fatti, di quel pasticciaccio internazionale e deliberato. Prologo. Un mezzo busto femminile, quadro urlante, restituisce nelle spirali angosciate del più celebre Munch, la paura coattiva di quei tre giorni, dal 19 al 21 luglio, di manifestazioni represse e di attentato ai diritti essenziali.

Ma il documentario regala, nel fermo immagine disegnato, quell’urlo, che resta latente, sottotraccia. Nessuna esasperazione empatica, nessun impatto emotivo. Documenti, filmati, fotografie, testimoni, tanti, manifestanti, sindacalisti, vittime, giornalisti… Fracassi e Lauria riavvolgono il nastro per nodi tematici, incastonando immagini che vivisezionano e illuminano, chiedono. Quale strategia del terrore ha prodotto il caos-Genova, dal vertice di Seattle, passando per Napoli, Goteborg? Che cosa è successo in piazza Alimonda? Chi ha ammazzato Carlo Giuliani? Chi c’era sotto le maschere dei  black bloc spesso nascosti dietro gli scudi dei poliziotti in assetto di guerra? Perché il massacro della Diaz? Quella Diaz che nessuno vuole scoperchiare, quella Diaz fraintesa, risarcita da condanne risibili.

The Summit restituisce risposte alle domande insolute della Diaz esplorata da Vicari nel discusso e conosciuto (e ben diffuso) Diaz. Don’t clean up this blood. Presentato alla Berlinale 2012 insieme a The Summit, opera totalmente indie, slegata da major produttive,  ignorata in Italia, sino ad oggi, dopo un anno esatto, e che ha trovato uno spiraglio, per ora, in 10 sale, dal 21 febbraio. “Una pagina della storia non ancora chiusa, perché la verità deve ancora venire fuori”, ammette Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, che invita a considerare The Summit come “un nuovo film sul G8, in grado di dare una prospettiva nuova alle vicende di Genova”.

Diaz scuote, The Summit cerca. Diaz “rompe” la verità specchiandola in “cocci aguzzi” di bottiglia, rifrange le prospettive spingendosi/ci in un flusso disgregante. Vicari sceglie gli angoli, i blocchi emotivi antitetici. Si infiltra nei piani di una sovrapposizione temporale caricata dal flashback iniziale, trattenuto e reiterato (la famigerata “bottiglia”). Poi ci immerge nell’imbuto dell’istituto Diaz, tonnara espiatoria, e i cocci tornano a coagularsi a suon di mazzate. La Diaz, asserragliata dalla polizia in quell’isolato urbano straniato, teatro di un oltraggio, un pantano di sangue e di ossa rotte. Mentre Vicari cataloga ravvicinato la risposta sorda dei corpi contusi, pestati dai “tonfa”, i pianti soffocanti, le grida delle decine di inermi ospiti notturni di quella scuola, scena del crimine insoluto, persino lo spettatore più attento non capisce che ci faceva tutta quella gente al G8 di Genova.

Lo ricordano Fracassi e Lauria distendendo il groviglio-ferita di Diaz nell’inchiesta millimetrata di The Summit. Aggirano la spettacolarizzazione. Il film fornisce «molti elementi in più per valutare». Una pistola difettosa, i carabinieri sosia, un bossolo mai analizzato. Crolla il teorema del finto eroe in divisa immaginato da Vicari: «La cosa che mi ha dato più fastidio in quest’ultimo anno è che grazie al film “Diaz” Michelangelo Fournier è stato considerato il poliziotto eroe del massacro alla scuola Diaz. Fournier è stato il poliziotto che ha avviato il pestaggio che mi ha mandato in coma», dirà Marc Covell e sarà polemica tra il giornalista inglese e il regista di “Diaz” Daniele Vicari. «Sono venuto a conoscenza del progetto di Massimo e Franco nel 2008, avevo appena terminato di montare i 41 video esistenti su quella notte che avevo raccolto. Mentre Domenico Procacci e Daniele Vicari (produttore e regista di “Diaz – Don’t clean up this blood”) non mi hanno mai chiesto i file e per questo non potevano sapere che Fournier (Claudio Santamaria in “Diaz”) invece di essere nella scuola in realtà era fuori». In merito ai fatti, qualche giorno fa il caso è stato archiviato, dopo che il  pm Zucca ha provato a costruire un processo per tentato omicidio ai danni di Marc Covell.

E ancora Fracassi-Lauria riesaminano plastici i giorni, al centro dell’inquadratura i testimoni e l’evidenza, in gran parte ancora tutta da “processare”, delle immagini reali. I gas urticanti, gli sguardi “drogati” di poliziotti e carabinieri, le spedizioni punitive di “animali in caccia che puzzavano di testosterone”, le mani bianche, alzate, pacificamente abbarbicate ad una pretesa di alternativa democratica al summit della globalizzazione liberista. Fracassi e sodali non chiedono fede cieca ma almeno un’occhiata, per riaprire un’indagine che mendica risposte su quel «vertice di trapasso, battaglia finale» che perdemmo con l’obiettivo di fermare il “movimento”.  Una repressione che si è specializzata per bloccare le proteste ma anche per prevenirle e che si è trasferita dalla piazza ai tribunali. Su quei fatti non c’è stata una commissione d’inchiesta e per tutti gli imputati la Cassazione ha confermato le condanne per i vertici della polizia coinvolti nel pestaggio nella scuola Diaz.

Quell’“urlo” ci addita nei dei tre giorni della vergogna.

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