“Il sole che verrà” di Pippo Pollina. Il ventiduesimo disco aulico e barocco del cantautore palermitano

Viene pubblicato la nuova opera discografica dell’artista siciliano, una pagina in più in un canzoniere sconfinato fatto di tessiture preziose e di un lirismo raffinato. Insomma da sentire e da avere …aspettando il Sole che verrà !!!  PippoPollina_02Nemo propheta in patria, scontato ma doveroso quando si discorre di Pippo Pollina, cinquantatreenne musicista palermitano la cui inenarrabile – per certi aspetti assurda – parabola artistica ha attraversato varie vite, vedendolo dapprima enfant prodige con gli Agricantus, quindi transfuga, poi esule, infine figliol prodigo part-time dopo essere assurto sì agli onori del bel mondo, ma sovente soltanto in terre straniere. COVER
Anche stimato attore, nonché venerato come autentica celebrità in Svizzera – ove tuttora risiede – così come in Francia, in Austria ed in Germania, voce di nicchia ai nostri lidi, ove sporadicamente torna per dispensare lampi di quella classe sopraffina che è talora appannaggio degli incompresi, a tre anni di distanza da “L’appartenenza” Pippo pubblica “Il sole che verrà”, ventiduesimo capitolo di una nutrita, ininterrotta, incessante discografia.
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Questa è canzone d’autore, cari miei, e fine del discorso: inviterei i denigratori e detrattori della poesia in rima ad astenersi e a proseguire su altre rotte per sentieri vergini, mentre ai laudatores temporis acti suggerisco di rimirare la traslucida bellezza di un disco aulico come le parole barocche che spendo incensandone le trame, sottolineandone il mirabile, consueto lavoro di cesello che sottende, decantandone le armonie ampie e l’ostinata, caparbia riproposizione di un linguaggio rimasto patrimonio di pochi.
Disco antico che mai ambisce a non esserlo né a dissimulare la propria elegante e profonda vetustà, densa di colori, immagini, concetti, “Il sole che verrà” si muove al crocevia fra istanze popolari ed ambizione colta, da Max Manfredi a Danio Manfredini, da Emiliano Mazzoni a Ivano Fossati (“Andarsene d’estate”, inarrivabile vertice del disco), disegnando traiettorie intrise di stupore ed intarsiate da introspettiva meraviglia. Alla larga, modernisti: questo è un album verboso e triste come un’elegia, un diluvio di parole sgranate su uno stuolo di arie in minore, un disco capace di aprire – sfoderando la nonchalance di chi più nulla deve dimostrare – con una romanza che sa di Branduardi lasciata alla mezzosoprano Odilia Vandercruysse, di proseguire con la sfuggente ballata blandamente campestre di “A mani basse” e di infilarsi nel folk up-tempo fra Cowboys Fringants e Paolo Conte de “Il nibbio”.

Lavoro ricchissimo, quasi opulento nel suo insistito affastellare personaggi e situazioni, nel raccontare storie imperfette ed inconcluse, “Il sole che verrà” rinviene nella malìa di un cantare discreto la sua statuaria bellezza demodé: traccia accenti mariachi in “Cento chimere”, scherza su un’aria à la De Andrè nel flamenco sbagliato di “Divertimento latino”, indugia nella bachata morbida di “Rugiada sui tetti”, flirta con il Guccini che fu nella title-track, prima di chiudere sulla soffice melodia riflessiva di “Ancora una”, ad un passo dalla cerebralità per le masse di Amedeo Minghi. 1246904944_pippo_pollina111

E’ ciò che ci si aspetta, con il sommo gaudio di saperlo già: musica apolide imbevuta di suggestioni etniche, declinata con tutto il garbo compunto di un autore refrattario alle mode imperanti, una pagina in più in un canzoniere sconfinato fatto di tessiture preziose e di un lirismo raffinato, rifinito con la maestria che solo ai grandi tocca in sorte.
(from MusicMap)

MIniBioPippo Pollina nasce a Palermo il 18 maggio 1963. Pur iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’ateneo palermitano, studia sin da ragazzo la chitarra classica e la teoria musicale. La sua storia artistica inizia, sempre a Palermo, nel 1979, dove fonda un gruppo musicale e culturale, gli Agricantus, che segneranno una fase importantissima nella ricerca delle tradizioni musicali popolari sia della Sicilia e dell’Italia del Sud, sia dell’America Latina. Gli Agricantus iniziano a dare concerti in Italia e all’estero; contemporaneamente, Pollina svolge un’intensa attività di divulgazione nelle scuole medie e superiori.

800px-Helmbrechts_037Nel 1983 Pollina inizia a collaborare come giornalista al mensile I Siciliani, fondato e diretto dallo scrittore Giuseppe Fava; un’esperienza formativa decisiva, che si interromperà pochi mesi più tardi, quando Giuseppe Fava viene assassinato dalla mafia a Catania. Socialmente e politicamente assai impegnato, Pollina non si ritrova nel clima italiano degli anni ottanta e, nel 1985, abbandona gli studi e l’Italia e parte per una sorta di peregrinare senza meta in tutta Europa. È in Ungheria, nella ex DDR, in Inghilterra, in Francia, in Austria, nei Paesi Bassi, passando per la Germania e per la Svizzera, fino alla Scandinavia. Per vivere fa letteralmente di tutto, arrivando a fare il musicista di strada e a esibirsi nei ristoranti; racconta le sue storie e ne raccoglie delle altre. Con la musica rompe letteralmente ogni barriera, ogni frontiera, ogni divisione di cultura e di lingua (si impadronisce tra l’altro assai presto della lingua tedesca). Notato casualmente da un celebre cantautore svizzero tedesco, Linard Bardill, viene da lui invitato, nel 1987, a partecipare a un progetto discografico in lingua romancia, intitolato I nu passaran (“Non passeranno”) e ad una tournée che tocca la Svizzera, il Belgio e la Germania.
Il successo avviene con il settimo album, Rossocuore, pubblicato nel settembre 1999 in contemporanea in Italia, Austria, Germania e Svizzera. Vi partecipano oltre 35 musicisti che vanno da alcuni membri della Filarmonica di Zurigo all’organista Hammond Matt Clifford (ex dei Rolling Stones). Assieme a lui cantano José Seves Sepúlveda degli Inti-Illimani (che interpreta assieme a Pollina il brano Lettera di un condannato a morte), il conterraneo Franco Battiato e Nada Malanima. Ne segue una tournée con 100 date e un videoclip, Finnegan’s Wake (dal titolo della celebre opera sperimentale di James Joyce), interpretato assieme a Battiato.

(from Wiki)

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