“Record nero” con tinte rosa e rosse…femminicidi nel 2013 in forte aumento

ITALIA – Registrato nel 2013 un forte aumento di femminicidi rispetto al 2012. L’informazione aumenta ma le conquiste legislative non arginano il problema.

 

Il Femminicidio nel 2013 ha registrato un tragico aumento: questo è il triste bilancio di fine anno, che apre orizzonti e buoni propositi per il 2014, appena iniziato.

Un numero di vittime che colora di nero una lista troppo lunga, nera quanto il dolore delle famiglie. Perché lo scempio che si verifica ogni anno è davvero vergognoso: nel 2012 le vittime del femminicidio erano arrivate a quota 98, nel 2013 appena concluso il numero è aumentato arrivando a 128, un dato allarmante a cui bisogna porre subito rimedio.

Meschine violenze che hanno come sfondo per lo più le calde mura domestiche: circa il 47% delle volte a commettere l’omicidio è il marito o convivente. Alcuni dati statistici hanno evidenziato che gli autori di queste violenze sono, per la maggior parte, persone per bene, addirittura laureate o con la licenzia superiore, mentre l’età media oscilla tra i 35 ai 55 anni. Questi sono numeri che, purtroppo, sono tristemente condannati ad aumentare, tutto finché la legge italiana non userà il pugno duro contro queste violenze.

Il dispendio economico, oltretutto, va oltre i 16 miliardi di euro! E a pagare sono sempre i cittadini onesti. Questa pazzesca cifra è divisa tra vari costi, da quello per farmaci, a quelli sanitari, per non parlare di quelli giudiziari, di ordine pubblico e per spese legali. Forse è la volta buona che questo dato risvegli il nostro Stato, affinché intervenga nell’immediato su questo serissimo problema sociale.

Tutti questi numeri, tutte queste cifre alquanto sbalorditivi, però, nulla hanno a che vedere con il prezzo della vita: quanto vale ogni singolo respiro? La vita è una, la vita è un dono prezioso e non vale il prezzo di una violenza.

Eppure quello appena concluso può considerarsi per le donne un anno di conquista. Perché parlare di ‘femminicidio’, oggi, non è più un tabù!

L’argomento, quasi assente nei motori di ricerca nel 2012 e nelle cronache di giornali, radio e tv, ora si è imposto mediaticamente. ‘Una manifestazione di evoluzione culturale e giuridica’, secondo l’Accademia della Crusca. Ma se la ratifica della Convenzione di Istanbul e la legge contro violenza e stalking possono considerarsi delle vittorie, restano, però, ancora aperti molti fronti: la distanza dagli standard europei è abissale, a partire dal basso tasso di occupazione femminile sino a giungere alla disparità di salario. Come può l’Italia, ancora così gretta culturalmente, portare in auge la figura della donna in quanto essere umano? La disparità di genere persiste ed è forte, su tutti i fronti.

Nonostante la nuova legge, decreto 93/2013, le donne vittime di uomini gelosi o “solo” violenti sono in netto aumento. Dai 98 casi del 2012, ai 128 dell’anno scorso i casi di morte accertata per femminicidi. Senza contare i casi ancora da accertare.

Parlarne, però, è già un dato altamente rilevante, considerando che, per anni, i femminicidi sono stati fatti passare erroneamente per conseguenze di “raptus”, dovuti a ira improvvisa o gelosia incontrollata. Come ha anche sottolineato l’Accademia della Crusca, ‘l’imporsi di questo termine è la manifestazione di un rovesciamento, di una sostanziale evoluzione culturale prima e giuridica poi’. Secondo il Rapporto Eures, tra il 2000 e il 2012 sono state assassinate in Italia 2.220 donne; il che significa, in media, 171 all’anno, una ogni due giorni.

Per continuare a migliorare la condizione delle donne e combattere la violenza, sarebbero auspicabili, per il 2014, nuovi interventi. Tra questi: l’aumento del numero delle case rifugio per donne maltrattate; più fondi ai centri antiviolenza esistenti e aumento del loro numero; più sportelli di ascolto e di denuncia; presidi nelle istituzioni locali; formazione di forze dell’ordine e degli operatori. Inoltre, è necessario un rilancio dell’occupazione femminile, un adeguamento agli standard europei delle garanzie sulla maternità e sui congedi parentali, la riduzione dei costi e l’aumento dei posti degli asili nido. Serve però, soprattutto, un “cambio culturale”, che passi dall’educazione alla parità di genere, che deve cominciare già dalle scuole, attraverso la valorizzazione e il potenziamento dei corsi nelle primarie e secondarie e all’università.

Sicuramente risulta necessario lavorare anche sugli “uomini”, in modo da operare sulle radici malate che questo fenomeno sottende, interrompendo la sua “trasmissione” alle nuove generazioni.

 

 

Serve insinuare nel sesso maschile il significato di “rispetto”: rispetto della persona, della vita, interrompendo questo processo macabro di “violenza di genere”.

Lottiamo per le donne: ma le prime a lottare devono essere le donne stesse, coadiuvate dallo Stato, affinché il 2014 non registri un altro “nero record”…tinto di rosa e rosso…

 

 

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