Parole d’amore e di letteratura in “Si dubita sempre delle cose più belle”

Il fitto carteggio bilaterale tra Federico De Roberto, autore de “I Viceré”, ed Ernesta Valle

Lunedì 16 marzo 2015, alle ore 17.30, è stato presentato presso il Tempio Monumentale di San Nicolò l’Arena, “Si dubita sempre delle cose più belle”, corposo carteggio bilaterale tra il celebrato autore de “I Viceré” e la nobildonna milanese Ernesta Valle. Il volume, di straordinario pregio artistico ed estetico, è stato curato dalla Prof.ssa Sarah Zappulla Muscarà, ordinario di Letteratura Italiana presso l’Università di Catania ed esperta di narrativa, teatro e cinema fra Otto e Novecento, e da Enzo Zappulla, Presidente dell’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano. Alla straordinaria e appassionata recitazione di Leo Gullotta si deve la lettura di ben otto brani della corrispondenza epistolare raccolta nelle 2132 pagine dell’opera. A impreziosire la suggestiva cornice si sono aggiunti gli intermezzi musicali di Diego Cannizzaro all’organo di Donato Del Piano.

La manifestazione è stata promossa dall’Assessorato comunale ai Saperi e alla Bellezza Condivisa, dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, dalla Soprintendenza ai Beni Culturali.

A dubitare “delle cose che ci stanno troppo a cuore, che si teme di perdere” – delle cose belle, appunto – è lo stesso scrittore, catanese d’adozione, il quale, in una delle tante missive, si dice altrettanto certo che il sentimento dell’amata gli sarà consolazione per tutta la vita. Una certezza “salda, incrollabile, superba”. La donna in questione è la “signora bionda” Ernesta Valle, moglie dell’avvocato messinese Guido Ribera, con la quale De Roberto intrecciò un’appassionata relazione amorosa dal 31 maggio 1897 fino al 18 novembre 1903. Un romanzo epistolare d’amore – genere nel quale rientra a pieno titolo – caratterizzato da un’intensità quasi quotidiana, andando a costituire una vera e propria “miniera, un vaso di pandora, non soltanto per quanto riguarda il De Roberto uomo e scrittore, ma anche quello visto secondo la nuova prospettiva di amante”. La sua immagine schiva e austera, tradizionalmente tramandataci e trasmessaci dalle foto, viene confutata a favore di un appassionato e focoso amante. Eccellente approfondimento psicologico di un grande autore, nonché fonte di notizie di carattere storico, mondano, sociale e culturale.

Un aspetto inedito e sorprendente della personalità emotiva e insicura di De Roberto (morto celibe e senza prole), in documenti che non possono assolutamente essere definiti semplici lettere d’amore. Una relazione clandestina che vedeva protagonista lo scrittore con la donna sposata e madre del piccolo Guido, conosciuta nel salotto letterario di casa Borromeo. Non da meno, sul piano degli affetti, il legame soffocante con la madre, donna Marianna Asmundo, dalla quale non si allontanò mai per paura che questa soffrisse la sua assenza. Oltre 800 lettere, a testimonianza di uno spaccato d’epoca, dell’officina segreta dello scrittore, di tentativi teatrali e dell’attività di giornalista. Nulla di programmatico fa parte dell’intreccio, se non temi “intimi e letterari”, unitamente alla rievocazione di eventi, incontri, fatti e luoghi, operata dalla memoria lungo l’asse Nord-Sud, tra Milano e Catania.

Ed è la stessa curatrice dell’opera, la Prof.ssa Zappulla Muscarà, a spiegarne la genealogia: “Cosa fare delle lettere d’amore quando la persona a cui erano dirette è spirata?” si domanda lo stesso protagonista a proposito di tali “documenti umani”. Qualsiasi altra lettera è possibile lasciarla agli eredi, i quali conserveranno quelle che riterranno interessanti e distruggeranno le altre. Ma sguardi forse superficiali, indiscreti, profaneranno quelle righe che hanno fatto battere più forte un cuore. Eppure, come rassegnarsi a distruggere le prove che si è vissuti veramente? De Roberto le lettere d’amore non le ha distrutte, né le sue né quelle che Renata gli andava via via restituendo poiché non poteva tenerle, essendo una donna sposata. Cosicché oggi abbiamo il privilegio di avere un carteggio bilaterale, cosa rarissima, se si pensa alle lettere di Verga a Dina Castellazzi Sordevolo: possediamo quelle dello scrittore ma non quelle della contessa. O si pensi al carteggio tra il vate Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse: sono giunte a noi quelle della “divina” ma non quelle del poeta, poiché la Duse le bruciò quando la loro relazione si interruppe. O, ancora, a Pirandello e Marta Abba…

“Nel nostro caso si tratta di un monumentale carteggio, quasi 800 dettagliatissime lettere. Dobbiamo essere grati a Nennella De Roberto, nipote di Federico e figlia del fratello Diego, per averci consegnato questo carteggio amoroso con l’unica richiesta che fosse pubblicato dopo la sua morte. E’ grazie a lei che oggi il carteggio è custodito presso la Biblioteca dell’Università di Catania”. Testimonianza di un amore, ma anche di un’epoca, che nasce dall’incontro dei sentimenti più puri e della grande letteratura della nostra tradizione. E meriti straordinari, in una serata all’altezza del valore artistico dell’opera e della materia trattata, si devono alle letture dell’istrionico Leo Gullotta, con la sua immaginifica capacità di affabulare, di compiere magie con la parola, incantando l’uditorio.

La data è quella del 1897, fine secolo, quando De Roberto trova nell’esperienza e nell’apprendistato milanese di quegli anni la possibilità di rifiatare dalla possessività dell’autoritaria figura materna e di fuggire dalla realtà catanese, avvertita come asfissiante e claustrofobica, che lo porteranno alla nevrosi e a disturbi di varia natura. Ed è la frenetica esperienza della città, stimolo al lavoro artistico, a rivelarsi un tentativo di affermazione tanto professionale e nell’ambito di appartenenza, quanto nella sfera privata e degli affetti. La relazione con Ernesta, ribattezzata Renata (“rinata” al focoso amore) o Nuccia (diminutivo bamboleggiante di “femminuccia”), si snoda e si sviluppa in pensieri, racconti di incontri, progetti letterari e lavorativi, nonché simil confessioni/confidenze. La distanza e la lontananza intensificano il carteggio, quasi giornaliero, attestazione del quotidiano, tra insuccessi teatrali e le difficoltà nel portare a termine “L’Imperio” che avrebbe dovuto concludere la trilogia inaugurata da “L’illusione” (1891), e seguita da “I Viceré”, epopea della famiglia Uzeda di Francalanza. La relazione con Renata, per quanto appassionata e travolgente, si rivelerà breve e porterà con sé strascichi di nostalgia e rimpianti. Non a caso Benedetto Croce stroncherà De Roberto, imputandogli un’aridità e glacialità tale da impedire a questi di “illuminare l’intelletto” e “far battere il cuore”. Di contro, le dichiarazioni di stima da parte di Verga, Capuana e, recentemente, Sciascia. Emerge il ritratto di uomo e quello di scrittore. Così come Milano inquadra la “letteratura dei luoghi” con le testate giornalistiche (“La Lettura” e, una su tutte, il “Corriere della Sera”, con il quale lo stesso Federico collaborò), le grandi case editrici (dai Treves a Galli), i ritrovi esclusivi (il Cova, il Savini, il Biffi, il Caffè dell’Accademia), i prestigiosi teatri (il Teatro alla Scala, il Lirico, il Filodrammatici) e i salotti aristocratici.

Il De Roberto privato e intimista si produce, nel carteggio con la Valle, in una sorta di autobiografia indiretta, in un diario o “journal” ricco di dettagli. “Si dubita sempre delle cose più belle”: i ricordi di un’esistenza, spesso insoddisfacente e segnata da insuccessi commerciali, che si appiglia ad una relazione ormai prossima al tramonto definitivo, ma pur sempre immensamente consolatoria.

 

 

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