Notevole successo del Don Pasquale con Simone Alaimo a Linguaglossa

Notevole successo del Don Pasquale con Simone Alaimo a chiusura della IV edizione di Etna Opera Festival a Linguaglossa

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La quarta edizione dell’Etna opera Festival si è chiusa brillantemente in quel di Linguaglossa, nella ridente sede di Casa San Tommaso, con la rappresentazione all’aperto del “Don Pasquale”, opera buffa di Gaetano Donizetti; ideato dal celebre basso baritono Simone Alaimo, il Festival del Belcanto sta annoverando crescenti successi e si può dire un intenso “vivajo” di giovani voci che , sotto la guida sapiente del Maestro di Villabate, crescono e si augura possano svolgere concreta carriera. La sera di sabato 4 agosto fu però straordinaria, poiché lo stesso Alaimo vòlle recitare nella parte di Don Pasquale, il protagonista del testo donizettiano. Dopo aver calcato i teatri del mondo, per Alaimo quella di Linguagliossa (ove egli ha studiato da ragazzo dai PP.Domenicani) fu la 920° recita dal suo debutto nel 1977.  L’edizione 2018 dell’Etna Opera Festival ha scelto di riprendere Le Nozze di Figaro di Mozart e appunto il Don Pasquale: selezionando con apposita masterclass giovani provenienti da tutto il mondo, l’attenta giuria ha scelto i migliori talenti che hanno avuto la possibilità di seguire le lezioni di Alaimo, assimilarne la tecnica e prodursi nei ruoli prestabiliti nelle due opere, date nei primi giorni di agosto.

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Il Festival operistico e la relativa masterclass sono stati patrocinati dal Comune di Linguaglossa e dall’Associazione Val di Ragabo Etna Nord Est, presieduta dal prof. Salvatore Castorina, che ha presentato la serata, auspicando che la nuova dirigenza regionale possa sostenere concretamente le attività del sodalizio.  Aggiungiamo che sin dagli esordi il Festival del Belcanto di Simone Alaimo, ha riscosso grande plauso di pubblico e di critica: avendolo seguito, ricordiamo piacevolmente la messa in scena del rossiniano “Barbiere di Siviglia” nel 2016.

Donizetti scrisse il Don Pasquale nell’ultimo periodo della sua fecondità artistica: era  infervorato e cambiò più volte il testo, tanto che neppure il librettista Ruffini lo autorizzò a mettere il proprio nome. L’ispirazione è da una farsa di primo ottocento ma i personaggi sono della classica opera buffa settecentesca adattata ai tempi nuovi: e se pensiamo che il primo cast assoluto, al Theàtre des Italiens in Parigi (sempre per interessamento del Rossini, dopo la morte prematura di Vincenzo Bellini, prima del quale il “raggio” donizettiano non poteva splendere) la sera del 3 gennajo 1843 fu composto da Giulia Grisi, dai Lablache, dal Tamburini  (ovvero i prediletti del Cigno catanese), possiamo immaginare ciò che allora ne derivò. La storia è nota, il settantenne avaro che vuole sposarsi e viene buggerato dal nipote, nonché tiranneggiato dalla sposa rivelatasi poi falsa e alfine egli contento cede al discendente, con congrua peculia. E’ un inno alle disgrazie del matrimonio, come nella chiosa finale di Norina, “ben scemo è chi si ammoglia in tarda età, guai e fastidi avrà”, ammonendo a non commettere quegli errori ahimé tanto ripetuti nei secoli, vedi il caso Callas-Meneghini (anche se in certi, molti casi vi è più la componente che alla luce della scienza novecentesca diremmo freudiana-paterna, e ciò molto spiega).

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Nella recita linguaglossese, con sommo piacere abbiamo ammirato la bella e notevole impostazione vocale di Simone Alaimo, ad onta degli anni non più verdi: segno della tecnica e dello stile di vita nonché del natural dono che ne fanno ancor oggi un ottimo basso, il quale in ogni caso è proteso ad insegnare più che ad apparire , dopo la sfolgorante carriera. Norina fu una brillante Angela Curiale, catanese che ci è nota per le produzioni teatrali e soprattutto operettistiche ove sovente si esibisce nella città etnea: la voce è adatta all’operetta ma per il ruolo leggero e brioso della farsa donizettiana, fu più che indicata. Plauso al giovine Keigo Marushima, figlio dell’Impero giapponese, un Ernesto dalla voce tersa e chiara, senza sbavature, vera scoperta della serata: non è forte negli acuti ma può molto migliorare poiché ha ottime basi, segno che la scuola nipponica (e imperiale, il Giappone conserva la sacralità del Tenno, Sua Maestà Akihito) procede sveltamente nel belcantismo, e non a caso… dato che lì lo Stato finanzia lo studio dei meritevoli cantanti.   Bravo anche il giovane Antonio Tranchina nella parte del Dottor Malatesta e lode al giovine direttore d’orchestra Tarantino: compagine orchestrale formata da ragazzi napoletani che lo hanno seguito con grande attenzione.

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Forse non fu un caso che il povero, bergamasco (la città che poscia verrà detta “dei Mille” per il gran numero di garibaldini che da lì provenivano) Gaetano Donizetti, iniziò successivamente al Don Pasquale, a manifestare segni di quello squilibrio mentale che lo portarono alla morte in breve tempo: aver affrontato con tanta franchezza seppure con  sorriso e leggerezza, il tema del matrimonio, gli portò male? Non sappiamo; certo è che l’Ottocento fu un secolo alquanto tormentato in tal senso: in tale campo non così sarà, almeno in apparenza, il Ventesimo. Plauso dunque alla bella, autentica Arte di Simone Alaimo che non solo ha dònde di esser navigato nocchiero del belcanto, come ha dimostrato con la ancor solida voce (realtà che taluni suoi coetanei non hanno più, anche se si accaniscono, chissà perché…) ma anche ammannisce preziosi insegnamenti per quei giovini che credono ancora, quando non sono deviati da chimere materiali o fuorviati da illusioni umane, nella carriera artistica, di gran sagrifizio ma di intensa soddisfazione.

                                                                                                              

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