“L’uomo, la bestia, la virtù” di Luigi Pirandello al “Brancati” di Catania

Con Riccardo Maria Tarci, Evelyn Famà ed Emanuele Puglia, regia Carlo Ferreri.

FOTO L'UOMO LA BESTIA E LA VIRTU'_Dino Stornello

Dalla novella “Richiamo all’obbligo”, titolo ben più cogente e ironico, Luigi Pirandello trasse nel 1919 il testo teatrale “L’uomo, la bestia, la virtù”, molto apprezzato e rappresentato. Pirandello, ancora una volta, si interroga e interroga lo spettatore e la società su cosa sia bene o cosa male.

Nella versione andata in scena al “Brancati” di  Catania, la rielaborazione del testo gioca molto sul messaggio che può essere raccolto e decifrato dai vari ruoli: un ambiente borghese formato da solisti, ovvero una società non società nella quale ciascuno vuole o deve mantenere disperatamente la propria maschera, mentre la storia e il flusso degli eventi vuole strappargliela.

Se la lettura di Ferreri è questa, allora il titolo dell’opera teatrale non contiene l’epiteto dei tre protagonisti, bensì interroga tutti i personaggi  ponendoli di fronte a una scelta: essere uomo, bestia o virtù.

Riccardo Maria Tarci, nelle vesti del prof. Paolino, rende bene la figura del cialtrone che vuole darsi e farsi ragione a tutti i costi, anche quando, andando troppo al lardo, sta per lasciarci lo zampinoEvelyn Famà, brava nel mimare gli accessi e conati di vomito rivelatori della sua condizione di donna gravida, vedova bianca del capitano Petrella che la trascura proprio sul versante di quell’obbligo che è nel titolo della novella, amorevolmente attenta alla carriera scolastica del figlio, trova consolazione e ristoro alla sua vedovanza bianca nell’amplesso con il comprensivo premuroso Paolino che, raccogliendo il fiore, ripaga grato assegnando buoni voti allo studente il quale lucra furbescamente i vantaggi che ricava dalla tresca.

Il tutto in una notte imposto dalle strane circostanze e coincidenze potrebbe far precipitare tutto, a meno che… il gioco delle parti non conceda la catarsi per i due adulteri centrali, lasciando tutto com’era, prima che lo spermatozoo birichino e impertinente (nel senso etimologico del termine) creasse storia e pathos.

Emanuele Puglia, costretto a  una recitazione sopra le righe dalla necessità del regista di fare entrare nella storia un suo antifascismo che a noi, proprio nel caso di Luigi Pirandello, appare quanto mai fuori luogo, ha dovuto rinunciare alle nuances di un personaggio ossimorico, vittima e carnefice allo stesso tempo che sono nella cifra dell’attore: lui adultero laterale rispetto all’episodio teatrale che riceve il pan per focaccia, ripagato della stessa moneta con la quale gestisce un’altra famiglia con prole in un altro porto di mare.

Pregevole l’interpretazione di Massimo Leggio dei due fratelli, medico e farmacista, frustrati e spregevoli che si prestano ad ignorare le regole deontologiche delle proprie professioni pur di partecipare ad una vicenda boccaccesca che, per loro, vivacizza il vivere, il tran tran di una provincia remota e annoiata.

La rielaborazione di Ferreri, tra antifascismo di maniera e accelerazione dell’epilogo, omogeneizzando le singolari figure del triangolo attorno al quale è costruita la storia, ottiene nel finale di mostrarli per quello che sono: ipocriti e vittime del conformismo e della società, tutti e tre umani (uomini) bestie e virtuosi (agli occhi della società).

Messa in scena gradevole, scandita da una tempistica appropriata, sottolineata da stacchi musicali puntuali che sono anche citazioni melodiche storiche, molto apprezzata dal pubblico che ha tributato copiosi e  numerosi applausi.

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