L’Europa verso l’Unione Bancaria…ma è solo il primo passo

Bruxelles: crisi e fallimenti delle banche: raggiunto accordo nella Unione Europea. Ma l’obiettivo ora è trovare un accordo con il Parlamento entro la fine della legislatura, fissata in aprile

 

I ministri delle Finanze dell’Unione hanno raggiunto nella notte un accordo sul piano di liquidazione delle banche in fallimento, ma tutto si è fermato davanti al più ambizioso obiettivo di affrontare, in modo congiunto, la crisi degli istituti di credito della zona euro.

A più di cinque anni dalla crisi finanziaria che l’ha colpita, l’Europa si avvia a finalizzare la sua più ambiziosa riforma dalla introduzione della moneta unica, ovvero un’agenzia e un fondo per liquidare le banche in fallimento nel momento in cui, il prossimo anno, la Bce avvierà il meccanismo unico di vigilanza. ‘L’ultimo pilastro per l’unione bancaria è stato raggiunto’, ha detto ai giornalisti il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, commentando il piano, che punta a evitare nuove turbolenze nel caso in cui banche in fallimento, dall’Irlanda a Cipro, rischino di portare i propri stati sull’orlo del baratro.

 

La Germania resta, tuttavia, contraria a una piena mutualizzazione dei costi, linea che, invece, ha avuto il sopravvento.

Lo stesso Schaeuble ha, infatti, chiarito che non un centesimo dell’Esm, il fondo di salvataggio della zona euro da 500 miliardi, sarà destinato direttamente per salvare le banche. Piuttosto, gli Stati con banche in crisi dovranno fare esplicita richiesta di poter attingere al fondo, un passaggio umiliante e sottoposto a stringenti condizioni da rispettare.

In futuro le crisi bancarie del recente passato saranno gestite in modo completamente diverso – ha detto il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem –. Le banche da ora in poi saranno chiamate a rispondere delle loro perdite e dei loro rischi. Mi sembra un cambiamento molto salutare’.

L’accordo prevede che le banche finanzino la chiusura degli istituti di credito in crisi, versando circa 55 miliardi in 10 anni a un Fondo unico di risoluzione.

Nel periodo transitorio, se di fronte alla crisi di una banca il denaro raccolto presso gli istituti di credito del paese non fosse sufficiente, il governo interessato potrebbe imporre maggiori prelievi alle banche del paese. Se anche questo si rilevasse insufficiente si dovrebbe ricorrere ad aiuti pubblici.

Se il governo non dispone della liquidità necessaria, può chiedere un prestito al fondo di salvataggio degli Stati della zona euro, l’Esm, come fatto da Madrid nel 2012 per ricapitalizzare le banche nazionali.

I ministri si dicevano ottimisti di un prossimo accordo con il Parlamento. L’intesa, definita “storica” dal ministro dell’Economia italiano Fabrizio Saccomanni, dovrà ora essere approvata dal Parlamento europeo entro la fine della legislatura.

Il fondo verrà finanziato da denaro privato. L’obiettivo è di evitare che gli stati siano chiamati come negli anni passati a usare denaro pubblico per salvare banche in difficoltà. Tra il 2008 e il 2011, i paesi dell’Unione Europea hanno usato circa 4.000 miliardi di euro per sostenere il settore finanziario in crisi. Il fondo nascerà composto da compartimenti nazionali. Su un periodo di dieci anni, a un ritmo del 10% all’anno, le quote nazionali saranno progressivamente messe in comune.

Nella fase transitoria, il fondo potrà godere “come estrema ratio” di finanziamenti-ponte, anche di natura pubblica, nazionale o attraverso il meccanismo europeo di stabilità (Esm). L’intesa prevede anche un non meglio precisato “paracadute finanziario comune” che “dovrebbe permettere la presa in prestito di denaro da parte del fondo di risoluzione”. Questo strumento, che dovrebbe essere “pienamente operativo entro dieci anni”, deve essere neutro per i bilanci nazionali.

Nella fase transitoria, il fondo potrà godere “come estrema ratio” di finanziamenti-ponte, anche di natura pubblica, nazionale o attraverso il meccanismo europeo di stabilità (Esm). L’intesa prevede anche un non meglio precisato “paracadute finanziario comune” che “dovrebbe permettere la presa in prestito di denaro da parte del fondo di risoluzione”. Questo strumento, che dovrebbe essere “pienamente operativo entro dieci anni”, deve essere neutro per i bilanci nazionali.

Il settore bancario sarà infatti chiamato a rimborsare i prestiti concessi al fondo di risoluzione, attraverso prelievi sui bilanci degli istituti anche ex post. Infine il processo decisionale prevede che le decisioni sull’uso del fondo vengano prese da un consiglio di risoluzione in sessione esecutiva (composto cioè dalle autorità nazionali coinvolte) ed entrino in vigore entro 24 ore. In caso di parere contrario da parte della Commissione, il dossier passerebbe all’Ecofin che voterebbe a maggioranza semplice.

Quando la ristrutturazione impegnerebbe almeno il 20% del fondo o richiederebbe l’accesso al fondo dopo che nell’anno in corso sono già stati usati cinque miliardi di euro, la procedura è gestita dal consiglio di risoluzione in sessione plenaria (presenti tutte le autorità) nazionale. In questi casi, la decisione sarà presa da una maggioranza dei due terzi e il benestare di paesi pari al 50% dei contributi al fondo. “I governi avranno tendenzialmente l’ultima parola”, nota un responsabile comunitario.

La modalità di voto può apparire complessa ai più, ma riflette una cessione di sovranità in un ambito bancario che è nei fatti la cinghia di trasmissione tra la politica e l’economia.

L’accordo riflette la difficoltà di trovare un compromesso tra la paura di alcuni paesi (come la Germania) di firmare un’intesa troppo onerosa per i conti nazionali e l’esigenza di altri stati (come l’Italia) di presentare ai mercati un assetto dotato di un paracadute finanziario convincente. L’obiettivo ora è proprio quello di trovare un accordo con il Parlamento entro la fine della legislatura, fissata in aprile. Il meccanismo unico di gestione delle crisi dovrebbe, invece, entrare in vigore il 1 gennaio 2015.

 

a Cognita Design production
Torna in alto