Le donne sono un arcobaleno di sfumature: Rosa Maria Dolcimascolo, poetessa e donna libera!

Il suo cuore, libero da ogni legaccio con la frenesia della vita quotidiana, libra leggero tra versi che incantano. Il suo ultimo libro di poesie dal titolo: “Pianeta amore” presentato di recente a Palermo.

Che significato recondito ha il titolo del suo libro “Pianeta Amore”?

“Il titolo del suddetto libro non ha nessun significato recondito, poiché non nasce da nessun progetto poetico. Di fatto il mio poetare è un canto libero cui approda la contestualità del titolo e non il contrario. Cosi la silloge è la visione diretta di un mondo messianico, che attraverso l’amore, circola come un Pianeta nell’universale spazio-umano”.

Qual è stato l’input iniziale che l’ha spinta a scrivere poesie, quali emozioni vuole regalare alle nuove generazioni che leggono le sue poesie?

“Desidero precisare che il mio comporre poesie non ha nessun destreggiamento in versi, in quanto, umilmente, affermo che non sono io che cerco la poesia ma è la poesia che cerca me, in immediate emozioni che provo e che scrivo. Alle nuove generazioni auguro…che i miei versi rafforzino << la distinzione del buio e della luce, la forza lirica dell’animo, anche tra gli ultimi e tra i fili d’argento della vecchiaia, ed a tessere le trame dorate della speranza>>. (Tratto dall’introduzione dell’autrice della silloge Sessanta tramonti sessanta albe)”.

Dove trae ispirazione quando scrive i suoi versi, e quali sono stati i poeti che hanno arricchito il suo “bagaglio culturale” così da potere dire che appartiene ad una specifica corrente letteraria?

“L’ispirazione poetica la traggo da me stessa, come un’icona del mio vissuto intimista e di quello universalmente umano. Non mi identifico in nessuna corrente poetica. Posso soltanto dire che ho letto molto autori e poeti soffermandomi soprattutto su quelli dal romanticismo al secondo Novecento. Pertanto non escludo l’arricchimento artistico dei suddetti nel mio inconscio poetico. Lascio ai fruitori dei miei versi la facoltà di collocarmi in modo consono, liberamente, in una corrente letteraria”.

Professoressa, lei ha amato ed ama tanto l’arte da essere stata anche produttrice di testi, regista e fondatrice del teatro “Uomo” presso l’Istituto Ernesto Ascione a Palermo. Ci potrebbe parlare di questa sua esperienza?

“Sì, ne parlo ancora con tanta gioia. È stata un’esperienza indimenticabile, soprattutto dal punto di vista umano. Ho visto trionfare con il linguaggio naturale dell’animo l’espressionismo guidato e la consapevolezza della verità delle cose, tra ragazzi normo e ragazzi sordi. Il tutto si è svolto in sinergica professionalità tra me, regista e autrice, alunni e gli esperti della lingua dei segni. Abbiamo guidato gli alunni attraverso la scrittura creativa a concretizzare testi o adattamenti teatrali ed a recitarli sul palcoscenico, per dieci anni, con alternanza di utenti e pubblico”.

Tra le tante prefazioni, che lei, Rosa Maria, ha scritto, qual è stata quella che più l’ha coinvolta?

“La prefazione che più mi ha coinvolto è quella del 2021 al libro “Circo” dell’autore Gaetano Capuano, vernacolista siciliano di Agira, residente a Varese. Nel suddetto il lessico è diretto come atto di fede ad un credo valoriale, nella cosiddetta lingua madre, di un mondo genuino, in cui crede l’autore, quasi prometeico contro cui cozza il mondo del Circo, ossia di Facebook, visto come “macchina attorniata da logiche commerciali… come sistema di partiti e di cumarchi”.

Lei, Rosa Maria, si sentirebbe di concretizzare nel futuro queste sue attività lavorative che l’hanno così a lungo impegnata sia come insegnante sia come operatrice teatrale?

“Sì, attraverso la scrittura creativa e la recitazione dei testi composti, ove comunque trionfi il senso della poesia dell’amore come sentimento ontologico, che trasporti l’uomo ad avere più coraggio, e a combattere quegli atteggiamenti ambigui lontani da una civiltà universale. La remora è il comportamento istituzionale italiano, che se dà spazio ai politici “anta” non lo consente ai professionisti come, gli insegnanti in quiescenza, che uscendo dal luogo del lavoro cadono nel dimenticatoio”.

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