LABORATORI DI QUARTIERE: Nuovi modi per Abitare la Città di Catania, rigenerare spazi, progettare politiche

Trame di Quartiere: San Berillo. A Catania un’interessante operazione di riflessione condivisa.pasted image 0

Nella foto: momenti preparatori del workshop nel quartiere San Berillo.

Abitare la città significa molte cose, poiché abitare è tutto. È passare la notte al riparo, nelle ore che ci rendono più vulnerabili, quando il corpo ha la necessità del riposo fisico. Si abita il luogo di lavoro, si abita la scuola dove si va ad imparare (anche insegnare dovrebbe esser sempre, prima di tutto, imparare). Si abita ogni momento in cui si vivono i diversi spazi entro i quali la vita si svolge. L’abitazione è dimora nel senso più ampio: è spazio di significati, è sede storica, è luogo di sentimenti, di emozioni e passioni.
È l’alveo naturale dell’anima.

catania_abitare-sociale-735x400L’iniziativa “Abitare la Città: rigenerare spazi, progettare politiche”, organizzata da Trame di Quartiere, Sunia, Laposs e Impact hub è stata un’interessante operazione di riflessione condivisa. Durante la mattina di sabato 25 febbraio, presso la sede del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali in via Dusmet 163, con il coordinamento di Luca Lo Re (Trame di Quartiere) si sono succeduti gli interventi di Carlo Cellamare (docente di urbanistica, Università La Sapienza di Roma), che ha portato l’esperienza delle pratiche dell’abitare nella periferia romana; Giusi Milazzo (Segretaria Regionale Sunia), con un contributo di analisi sui paradossi del disagio abitativo; Calogero Punturro (Direttore Generale IACP Catania), che ha relazionato su l’abitare sociale e il ruolo dell’Istituto autonomo case popolari nella riqualificazione urbana; Chiara Rizzica (Associazione innovarexincludere, Milano), sul social housing; Teresa Consoli (docente di Sociologia Giuridica, Università di Catania), con un intervento sulla sperimentazione del modello Housing First in Italia; Carlo Colloca (docente di sociologia dell’ambiente e del territorio, Università di Catania), con un contributo su migranti e residenzialità.

TdQ_oTrame di Quartiere è uno dei tre progetti di innovazione culturale vincitore del concorso di idee “Polmoni Urbani” – gli altri due finanziati in Sicilia sono Street Factory eclettica (Caltanissetta), Periferica (Mazara del Vallo) – ciascuno dei qualii ha ricevuto un contributo di 120.000,00 euro.

In linea con la vocazione animatrice del soggetto coordinatore, nel pomeriggio si è svolto un workshop tematico nel quartiere San Berillo, nei magazzini di Palazzo De Gaetani, che gli eredi della famiglia hanno messo a disposizione per attività finalizzate al risanamento urbano e sociale. L’occasione è stata preziosa in rapporto alla funzione fondamentale della cultura, che è fare memoria. Il workshop, ben coordinato da Rosario Sapienza di Impact Hub, ha trovato al suo interno gli elementi per evocare la testata satirico-politica “La Voce dell’Etna” che in quei magazzini aveva avuto fino agli anni ‘70 il proprio luogo di elaborazione. Scendendo in profondità è stato ricordato come, agli inizi del secolo scorso, l’attuale Via delle Finanze si chiamasse “Via De Gaetani” e, prima dello sventramento del quartiere, percorreva in modo rettilineo l’intero percorso dall’angiporto alla piazza del mercato (“Piazza Carlo Alberto”).
Interessante la notizia storica che corregge il luogo comune secondo il quale il nome della via fu cambiato per volere della famiglia, per non associare il proprio buon nome alla crescente diffusione della prostituzione che, a partire dal dopoguerra, segnò il quartiere.
È vero che fu la famiglia a voler togliere alla via il proprio nome; ma per altra ragione: in segno di opposizione allo sventramento deciso dalle autorità del tempo.san-berillo-IMG_20150419_135820968

Lo sventramento, cioè la politica di demolizione delle case del quartiere che la città di Catania adottò ad imitazione di Parigi, ebbe con la capitale più di una differenza ma, su tutte, la decisiva è certamente il non aver mai ricostruito la parte demolita, ed aver consegnato all’emarginazione e al degrado la parte rimasta, progressivamente abbandonata dagli abitanti e ridotta a rovine e macerie.

Questo paesaggio urbano  è stato contrassegnato da prostituzione, occupazione abusiva degli edifici e devianza diffusa, aggravandosi con il progredire della segregazione del quartiere dal resto della città. Una prima importante interruzione di questa separazione-ghettizzazione è stata determinata negli anni ’90 del XX secolo mediante un progetto della LILA (lega per la lotta all’AIDS), che ha portato un contributo molto necessario e come tale riconosciuto dagli abitanti del quartiere. In tempi più recenti, a partire dal 2004, il comitato BABILONIA ha continuato quest’opera di ri-tessitura dei rapporti sociali tra città e abitanti del quartiere.

Permangono difficoltà che dimostrano l’entità del conflitto e dell’incomprensione, resa più gravosa e complicata dalla presenza più o meno regolare di clan composti da individui di etnie diverse mentre, sul fronte di altri scenari, si deve registrare il fatto che l’80% degli edifici risulta di proprietà non di persone fisiche ma di società che sono prevalentemente collegate a quelle che hanno in proprietà i terreni dello sventramento, le ferite storiche di Corso Martiri della Libertà, il luogo dell’altra parte di San Berillo, l’area delle case distrutte e mai ricostruite. Questa considerazione dimostra una volta di più l’inconciliabilità tra la rete sociale degli abitanti – fantasmi di vecchi proprietari, ombre di prostitute, drogati, clandestini – e quella dei proprietari, intangibili e incorporee società prive di sede, talora anche di bilanci e registri.

san-berillo-IMG_20160405_132144099_HDRIn queste condizioni, il quartiere San Berillo resta fatalmente luogo irrisolto della città e, proprio per questo, rappresenta un naturale laboratorio per fare sperimentazioni su un futuro già arrivato da molto tempo. L’urgenza di queste sperimentazioni riguarda in primo luogo la mediazione culturale per ridurre la devianza e contenere i rischi sanitari. Seguono a ruota, l’alfabetizzazione, il reciproco riconoscimento, la lettura incrociata e plurilinguistica dei Testi Sacri (il dialogo interreligioso e interculturale). Questi due passaggi appaiono propedeutici e necessari per ipotizzare qualsiasi azione di rigenerazione che voglia dimostrarsi sostenibile e con possibilità di persistenza.

Se queste condizioni si danno, allora si potrà avanzare sul sentiero delle moderne opportunità per fare impresa sociale, ed attivarle per mezzo degli strumenti di finanza pubblica e privata, avendo presente che il soggetto pubblico locale, nel nostro tempo, non può essere il sovvenzionatore dovendo, piuttosto, assumere il ruolo di garante e di selezionatore: garante dell’imparzialità e della trasparenza delle procedure e delle scelte in attuazione degli interessi della collettività; selezionatore delle proposte e dei progetti che provengono dal partenariato, per accompagnare le idee migliori a trasformarsi tecnicamente in progetti e concorrere per l’accesso alle risorse nazionali e comunitarie.

logo-trame-di-quartiereUn aspetto molto interessante del workshop è stata la oggettiva indistinguibilità tra pubblico e spettatori, anche a causa della disposizione circolare dei partecipanti, tutti motivati a contribuire al dialogo in maniera costruttiva e affluente. Tra gli interventi, non è mancata qualche nota critica, che non ha risparmiato nemmeno il concetto di partecipazione. Sarebbe facile in difesa risolvere citando il Gaber di “Libertà è partecipazione”, ma il tema è molto interessante (e del resto ben elaborato anche dai testi che Gaber ha scritto in collaborazione con il pittore Sandro Luporini) e va colta l’opportunità di chiarire cosa mai sia la spada a doppio taglio della libertà. Nella teorizzazione di Isaiah Berlin (che Gaber e Luporini avevano ben presente), c’è un aspetto di libertà negativa, riassumibile nella formula “liberi da” e che si chiama propriamente autonomia.
Cè poi un aspetto di libertà positiva, traducibile nella formula “liberi di”, e questo aspetto si può chiamare con pienezza di significato, partecipazione.

Quest’ultima annotazione permette di qualificare il significato di partecipazione come capacità di realizzare e, cioè, di accedere alle risorse e utilizzarle in funzione di scopi di interesse collettivo: è in questa direzione che le attività dei laboratori possono prendere la loro massima estensione di significato.
Affinché questo accada, occorre che i potenziali attori di impresa sociale affinino la loro capacità progettuale e che la parte pubblica abbia capacità di selezione e di ascolto delle proposte, promuovendo il territorio in accordo ai principi di sviluppo ed emancipazione che sono propri dei nostri ordinamenti e statuti. In questo modo i laboratori di quartiere (tra i quali la sperimentazione avanzata su San Berillo) diventano strumenti essenziali per abitare la città del presente e del futuro.

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