La recensione su… “L’uomo dal fiore in bocca”

Il rinomato dramma di Luigi Pirandello riletto e diretto da Pino Pesce

Una pièce nata dall’incontro di più vite quella andata in scena il 15 gennaio al Teatro “Nino Martoglio” di Belpasso. Parliamo de “L’uomo dal fiore in bocca”, dramma pirandelliano rimaneggiato da Pino Pesce, direttore del periodico “l’Alba”. Al suo esordio alla regia, Pesce mette insieme un convincente cast di attori già noti e debuttanti che hanno regalato ben più di un’emozione: dal protagonista Mario Sorbello, che interpreta L’uomo dal fiore in bocca, a Tony Pasqua nel ruolo dell’Avventore, da Luisa Ippodrino (Allegoria della vita) a Loredana Cannavò (Allegoria della morte).

Un treno, perso per qualche minuto, apre le porte ad una conversazione, in un bar, fra L’uomo dal fiore in bocca e il “pacifico avventore” dalla quale emergono storie (fra le elucubrazioni del primo e l’immediatezza del secondo) che sembrano di non senso, le quali invece, pur nella vanità e nel relativismo, reclamano la vita con la stessa tenacia dell’edera.

L’“ensamble” vibrante trasforma il palcoscenico in luogo d’immaginifiche evocazioni, accentuate dall’apporto multimediale (teatro-danza, musiche dal vivo e video), le quali seguono l’originale interpretazione del regista. Si può dire che Pesce lascia intatta l’impostazione dell’opera ma che ne amplia l’effetto con un’appendice e con delle figure allegoriche amplificate dalle musiche di Elisabetta Russo. Se nell’intento di Pirandello un malato di cancro non può che soccombere all’ineluttabile, aggrappandosi soltanto all’immaginazione e alla vita degli altri, nella rivisitazione di Pesce esiste, invece,  uno spazio mentale più dolce che è la speranza. Una possibilità altra, oltre la vita, che si fa mistero e riverbera nella voce fuori campo di Pino Caruso che scandisce i momenti del trapasso e dello sciogliersi dell’anima dal corpo senza però soluzioni dogmatiche, nonché nelle musiche mistiche della Russo che aprono alla speranza di una vita futura. Quindi lo stupore di un nuovo incontro (appendice del regista) fra l’estinto e l’Avventore nello stesso bar che si conclude con un’enigmatica domanda: «Non c’è un segreto filo che porta alla Verità Assoluta?!!»

 

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