La Comunità Europea e la moneta unica vanno salvaguardate, a patto, però, che i Paesi membri abbiano gli stessi diritti e pari dignità
Certo che è proprio strano essere quotidianamente sotto esame, senza poter dire di aver superato la prova o di essere stato promosso perché non ti è concesso esprimere la tua opinione. Parlo degli euroscettici italiani, quei personaggi che, all’indomani della visita di baby Renzi a Frau Merkel, pongono i paletti a qualsiasi cosa il premier dica o faccia. Il semaforo è sempre rosso, la paletta sempre alzata, la cortina è sempre fumogena, gli apprezzamenti e le aperture di credito politico diventano squisitezza retorica, ovvero il nulla. Il bianco o il nero, il rosso o il verde, mai il grigio o il rosa shocking. Ma ce ne faremo una ragione, nonostante tutto.
Angela Merkel non è la zarina d’Europa, è semplicemente la portavoce di una costellazione di interessi comuni, sia nazionali che sovranazionali, oggi vincenti. Può dar fastidio – a me dà fastidio, ad esempio, perché ha posto la cancelliera su un piedistallo difficilmente smontabile – ma rimane comunque l’unico baluardo di un certo peso posto davanti alla catastrofe annunciata. Renzi, vuoi per ideologia personale, vuoi per obbligatorietà economica, su quella costellazione ci si deve necessariamente adagiare per non rischiare il declino del paese. Si adagia a modo suo, però. Declamando, per esempio, che i vincoli imposti dalla rendita finanziaria sono dettati in realtà da una nobile e patriottica responsabilità verso i nostri figli; ma in realtà l’ultimo rapporto Ocse sta lì a ricordarci che indigenza e distruzione di risorse attanagliano il presente senza predisporre alcun futuro. In pratica si emarginano i figli senza garantire i nipoti. Eppure, in una retorica paradossalmente contraddittoria, all’interno della Comunità Europea si deve conservare un regime di concorrenza tra i paesi membri – a volte aspro, a volte irreale – che nessuno deve mettere in discussione. E difatti nessuno lo fa.
Gli incontri tra capi di Stato vengono impacchettati nella loro bella confezione di vacuità pronti per essere portati dinanzi all’opinione pubblica europea. Perché mai all’austerity non può essere affiancata la crescita? È questo che il premier sta cercando di portare all’attenzione dei potenti d’Europa. L’asse – banale? inutile? – italo-francese si sarebbe coagulato sotto questo tetto, ma difficilmente potrà smuovere la Germania se Merkel s’impunta sull’austerity tout court.
La Comunità Europea e la moneta unica vanno salvaguardate, a patto, però, che i paesi membri abbiano gli stessi diritti e pari dignità. E in questo fronte va sicuramente ad agganciarsi l’Agenda 2020, la prospettiva europea per la crescita nel prossimo decennio per una Europa diversa: più intelligente, più sostenibile e più solidale. La strategia comporta anche sette iniziative prioritarie che tracciano un quadro entro il quale l’UE e i governi nazionali sostengono reciprocamente i loro sforzi per realizzare le priorità di Europa 2020: l’innovazione, l’economia digitale, l’occupazione, i giovani, la politica industriale, la povertà e l’uso efficiente delle risorse.
Il succo di Agenda 2020 suggerisce fondamentalmente di addolcire i tratti più ruvidi dell’ideologia disciplinare europea, laddove gli interessi di Berlino (e in subordine quelli del resto d’Europa) non sembrano affatto coincidere con quelli dell’Europa più abbiente e abbisognano, quindi, di una più coesa politica comune. Successivamente, la prevedibile avanzata delle forze euroscettiche e antieuropee, tanto nei ricchi paesi del nord quanto in quelli stangolati dalla crisi dell’area mediterranea, alle prossime elezioni per il parlamento di Strasburgo dovranno necessariamente fare i conti con un Continente che sia avvia ad uscire dalla crisi e per questo deve necessariamente ritrovare la forza per (ri)crescere più vivo e saldo che mai. L’Europa deve dunque essere dipinta come un quadro favorevole alla propria politica domestica e non come una dimensione che dovrebbe trascenderla, come un terreno proprio di azione politica. Senza questa rinnovata dimensione, il discorso tra Merkel e Renzi si riduce miserevolmente al compitino che ci viene assegnato per casa, con buona pace di qualunque idea dell’Europa a venire. L’immagine da trasmettere è questa, anche se poi si è solo chiacchierato di calcio.