Il viaggio perfetto è quello senza ritorno. Domenico Quirico incontra gli studenti

“Sono un viaggiatore e racconto quello vedo. Il viaggio perfetto è quello senza ritorno, dove il racconto non finisce” così  Domenico Quirico, giornalista, inviato de “La Stampa” agli esteri, ha incontrato gli studenti della Scuola superiore di Catania per parlare di “Islam, Isis e Occidente: la religione è legge? Analisi per comprendere, soluzioni per convivere”.

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L’aula magna della Scuola Superiore di Catania non è bastata a contenere il numeroso pubblico accorso per ascoltare un convegno per capire, conoscere, approfondire il complesso mondo dove viviamo, dal titolo “Islam, Isis e Occidente: la religione è legge? Analisi per comprendere, soluzioni per convivere” e, soprattutto, per incontrare Domenico Quirico, un giornalista che racconta la guerra perché l’ha vissuta e non per i comunicati stampa giunti in redazione.

Per comprendere meglio i complessi fenomeni che stanno dietro alla nascita dell’Isis, del Califfato, della radicalizzazione della religione, sono intervenuti come relatori  persone che studiano, conoscono, vivono quotidianamente l’argomento: l’Imam della moschea di Catania e presidente della Comunità islamica di Sicilia, Abdelhafid Kheit, il mons. Gaetano Zito vicario episcopale per la cultura della Diocesi di Catania e docente dell’Istituto teologico San Paolo.

L’incontro è stato moderato dalla professoressa Pinella di Gregorio, del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, contemporaneista e autrice di diverse pubblicazioni come “Frontiere. L’impero britannico e la costruzione del Medio Oriente contemporaneo”.

Ad aprire i lavori Francesco Priolo, preside della Scuola Superiore di Catania, che ha delineato gli argomenti trattati, parlando anche di immigrazione e del ruolo che la Sicilia gioca come terra di frontiera e di sbarchi, luogo di incontro tra diverse civiltà.

Pinella Di Gregorio ha tracciato un quadro preciso e puntuale, nei riferimenti storici, cercando di far capire da cosa nascano Isis e rivolta araba: ne colloca la nascita dopo la conferenza di pace di Parigi (1919)  con la fine ( e spartizione) dell’impero ottomano. Stati creati per una spartizione di zone d’influenza anglo-francese che poco o nulla avevano in comune con le popolazioni che lì vivevano.

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 “Per un senso di superiorità occidentale, che non reputava i popoli arabi in grado di autodeterminarsi” dichiara la docente.

Non parliamo di uno scontro di civiltà ma di un rapporto politico dove i protagonisti, nel corso della storia, come organismi politici si sono confrontati e scontrati. Voglio sottolineare che lo scontro tra Europa e mondo arabo ha origine proprio alla fine della Grande Guerra: è in quel momento dobbiamo far risalire quei i problemi  che ci troviamo ad affrontare oggi; problemi nati dalla riorganizzazione politica di quello che era l’impero ottomano, dove sono state disilluse le promesse fatte a quei popoli, come gli armeni e i curdi, che avevano appoggiato l’Occidente e sperato che potesse contribuire alla creazione di stati nazionali”.

Questa situazione oggi è cambiata – continua Di Gregorio – perché è arrivato un movimento terroristico , o paraterroristico, che sta facendo un ragionamento e una pratica, che denunciano ciò. Come si vede in un video di propaganda gli Jiadisti affermano: “questi confini tracciati dalle potenze occidentali per dividere gli stati arabi, sono confini artificiali che noi arabi non riconosciamo; non riconosciamo l’accordo Sykes-Picot, non esiste uno stato iracheno, siriano, libanese, noi vogliamo rifare il Califfato”.

Ma cos’è l’accordo Sykes-Picot. Tra il novembre 1915 e maggio 1916, Francia e Inghilterra, con l’assenso della Russia, stipularono un accordo segreto che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente in seguito alla sconfitta dell’impero ottomano nella prima guerra mondiale. Il nome Sykes-Picot deriva dai due ministri che lo stipularono.

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Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente la Giordania, l’Iraq ed una piccola area intorno ad Haifa. Alla Francia fu assegnato il controllo della zona sud-est della Turchia, la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria ed il Libano.

La zona che successivamente venne riconosciuta come Palestina doveva essere destinata ad un’amministrazione internazionale coinvolgente l’Impero russo e altre potenze.

Il Califfato che vuole l’Isis non riscrive quello che era l’impero Ottomano, ma un califfato universalistico, escatologico, in modo da distruggere l’assetto politico istituzionale fatto dalle potenze europee”.

“Questo scontro, che è politico, è definito dalla “vulgata” dei linguaggi televisivi in vario modo: alcuni lo definiscono  come uno  scontro culturale, di civiltà;  per altri, l’Isis è paragonabile  ad Hitler, ma non lo è, per diverse ragioni, perché  siamo di fronte ad un modus operandi diverso;  per altri ancora  i terroristi provengono dalle migrazioni, ma anche questo non è vero, perché come abbiamo visto i terroristi di Bruxelles e Parigi provenivano dalle periferie delle capitali europee”.

Ma chi sono i terroristi allora, chi sono i Foreign fighter, i Jiadisti che insanguinano l’Occidente?

“Spesso sono giovani europei  di terza generazione, sono nati in Europa, sono cresciuti nelle periferie delle capitali europee e usano la radicalizzazione islamica come risposta ad una emarginazione sociale. La radicalizzazione di queste giovani generazioni non ha nulla a che fare con l’Islam ma ha a che fare con situazioni di disagio ed emarginazione sociale delle nostre periferie, del disagio di una mancata integrazione che ha portato questi ragazzi a cercare  un Islam più radicalizzato rispetto a quella dei padri, del salafismo escatologico che spera e crede nella redenzione  personale attraverso il martirio” conclude la professoressa Di Gregorio.

Domenico Quirico traccia un profilo netto e preciso su chi siano:

Parliamo di terroristi, di periferie, di disagio ed emarginazione, paragoniamo l’Isis a le più svariate forme tiranniche del passato, ma in realtà sappiamo poco o nulla. Sappiamo che sono giovani, giovanissimi, ma non è possibile tracciarne una biografia, una storia del passato di questi ragazzi”.

Il momento della conversione diviene per loro una sorta di anno zero che resetta la loro esistenza. Iniziano a vivere da quel momento e ciò che erano prima viene seppellito: non esistono famiglie, se non il califfato, e gli unici fratelli che riconoscono sono i compagni di morte.

“La morte non la temono proprio perché non hanno passato e neppure futuro, non hanno rimorso o sensi di colpa per le loro azioni”.

“Si fanno paragoni ai regimi dittatoriali novecenteschi, c’è chi li nega ma qualcosa di simile in realtà c’è che li accomuna: come il principio di razza e di religione. Fanno una netta distinzione tra puri e impuri, quando ero prigioniero, per mesi e mesi, i miei carcerieri non mi toccavano, se non con il bastone, per non essere contaminati”.

Nella Germania nazista, ebrei e zingari venivano rinchiusi nei campi di sterminio e uccisi con il gas solo per il fatto di essere impuri agli occhi della razza ariana. Qualcosa di terribilmente simile avviene nei territori di Daesh”.

Domenico Quirico, garbato, gentile, ironico, pungente e attento, mai polemico ha raccontato, come sempre in prima persona, cosa sia realmente l’Isis, Daesh, il Califfato, ma anche di come il mondo sia diventato molto più piccolo negli ultimi anni.

Quirico è giornalista de La Stampa, responsabile degli esteri, corrispondente da Parigi e ora inviato. Ha seguito in particolare tutte le vicende africane degli ultimi vent’anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba.

“Per prima cosa vorrei dire che non faccio l’ostaggio per mestiere ma l’inviato, racconto le storie che vedo e che vivo, non si può parlare di qualcosa che accade a migliaia di chilometri stando comodamente a casa. Non ho la conoscenza dall’alto e devo vedere ciò che scrivo”.

Il Califfato si estende in una fascia di territorio compresa tra la Siria nord-orientale e l’Iraq occidentale. Quasi otto milioni di civili vivono oggi nel Califfato. Non combattenti ma uomini, donne e bambini che non posso uscire dai territori.

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Se fino a qualche anno fa Quirico non venne creduto quando scrisse “Il Grande Califfato”,  dove raccontava come i suoi carcerieri gli parlassero della nascita dello Stato Islamico, ora  la storia gli ha dato ragione.

Ancora oggi, però, c’è chi afferma che il Califfato non possa essere considerato una nazione.

Così risponde Quirico: “Cos’è una nazione? Perché si definisca nazione si deve avere: monopolio dell’uso della forza; fornire servizi ai cittadini, scuole, ospedali, strade; una propria moneta; tribunali.

Tutte queste cose Daesh le ha: le scuole, seppur fondamentaliste islamiche, ci sono,  tribunali, seppur della sharia, ci sono, il monopolio della forza, è evidente che c’è. Daesh è una nazione. Una Nazione che per la prima volta nell’età contemporanea ha dichiarato guerra all’Occidente”. 

Quirico racconta perché sa, perché ha visto e vissuto quei territori.

Mons. Zito e l’Imam Abdelhafid Kheit,  hanno sottolineato, riprendendo le argomentazioni di emarginazione e, soprattutto, delle periferie dell’occidente, il fallimento educativo nelle nuove generazioni, e la necessità di creare integrazione e dialogo.

Tantissimi gli interventi di un pubblico attento e curioso, che hanno incalzato con tante domande i relatori.

Quello che è emerso da quest’incontro è la voglia di capire, conoscere, studiare quello che sta avvenendo nel mondo, comprendendo come questa guerra, anche al di la degli attentati terroristici, riguarda ognuno di noi.

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