Dati sconfortanti rilasciati dallo Svimez. Si stima che nei prossimi 50 anni si perdano 4,2 milioni di abitanti, coinvolti nella spirale della fuga di cervelli.
La storia del Meridione è ricca di vicende legate alla migrazione verso lidi più prosperi. La speranza di “fare fortuna” e riuscire a tornare a casa era il filo conduttore di tanti emigranti nostalgici della propria terra. Adesso, in base ai dati diffusi dallo Svimez: “Il 64% dei cittadini meridionali, oltre due su tre, che nel 2011 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord aveva un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. Il Sud continua quindi a sostenere i costi del suo capitale umano qualificato ma a impoverirsi esportandolo in senso univoco, cioè senza ritorno. E le rimesse di un tempo che i lavoratori meridionali al Nord mandavano a Sud oggi non ci sono più, anzi: pare che viaggino nella direzione opposta. Visto che la crescita prevista per il 2014 non presenta segnali incoraggianti, attendiamo dal nuovo Governo misure decisamente robuste per tamponare questa deriva”. Una riflessione è doverosa: se a migrare verso l’estero o comunque dove c’è lavoro, sono soprattutto i migliori cervelli, come ripartire per sperare di invertire il trend negativo nel quale siamo intrappolati? La questione meridionale è antica e risaputa sin dall’indomani dell’Unità d’Italia. Sin da quel giorno è sempre convenuto che il Nord fosse sempre più ricco è il Sud sempre più povero. Adesso, in una situazione stagnante a livello nazionale, se il Settentrione arranca ma comunque riesce a portare a casa il risultato, il Meridione è costretto a subire la perdita dei propri pezzi migliori, depositari – per età e istruzione – dei giusti incentivi per il cambiamento. Non solo, se in precedenza era proprio il sud che alimentava la crescita demografica nazionale, adesso è l’incertezza del futuro a regnare sovrana, frenando esponenzialmente la crescita. Afferma il Presidente dello Svimez, Adriano Giannola, durante il convegno internazionale “La nuova migrazione italiana” svoltosi presso l’Università Cà Foscari di Venezia: “In questo quadro, si conferma con sempre maggiore evidenza come il Mezzogiorno abbia perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita dell’Italia. Anzi, da qui ai prossimi 50 anni stimiamo di perdere ancora 4,2 milioni di abitanti rispetto all’incremento di 4,5 milioni al Centro-Nord”. Investire in serie politiche del Welfare, puntare sulla ricetta trita e ritrita che tutti conoscono ma nessuno applica, ovvero puntare sul capitale umano rappresentato dai giovani, sarebbe auspicabile per il cambiamento. Aldilà delle rottamazioni di facciata da parte di governati dell’ultima ora e parrucconi attempati, non è più tempo della retorica, non è più tempo di riempire la bocca con parole vuote.
Per storia e dignità, il Sud merita una chance per camminare con le proprie gambe e dimostrare con i fatti ciò che spesso è stato precluso da preconcetti.