Il sequestro lampo del premier libico

Il premier libico Ali Zeidan sarebbe stato rapito all’alba da alcuni uomini armati. Un comunicato del governo ha confermato che è stato “prelevato” dalle forze di sicurezza del ministero dell’Interno

Stamattina è circolata la notizia secondo cui il Primo Ministro libico Ali Zeidan sarebbe stato rapito all’alba dalla camera dell’Hotel Corinthia di Tripoli, dove alloggiava, da alcuni uomini armati. Poche ore dopo, quando le prime domande venivano meglio formulate, si è capito che Ali Zeidan non è stato sequestrato bensì “prelevato” dalle forze di sicurezza del ministero dell’Interno libico e trasferito «in una località sconosciuta per ragioni sconosciute», come recitava il comunicato stampa del governo. Il premier è stato rilasciato poche ore dopo, ma il contorno dell’operazione resta ancora un mistero.

Nella tarda mattinata di oggi, con un post su Facebook poi cancellato, il governo provvisorio libico aveva annunciato che il premier era in mano a due milizie, la “Camera dei rivoluzionari libici” e le “Brigate di lotta contro il crimine”, le quali avrebbero agito con mandato giudiziario «a causa del peggioramento della sicurezza e dei danni alla sovranità del paese commessi da organizzazioni di intelligence straniere». Ma il procuratore generale di Tripoli ha successivamente smentito di aver mai dato l’ordine di cattura nei confronti di Zeidan. La realtà è talmente contorta che la fa sembrare una spy story.

Il sequestro lampo di Zeidan sarebbe una ripercussione per il blitz statunitense di sabato scorso nel quale è stato arrestato il leader qaedista Nazih Abdul Hamed al Ruqai, meglio noto come al Libi, su cui pendeva una taglia da 5 milioni di dollari per il suo ruolo negli attentati alle ambasciate americane di Nairobi e di Dar es Salaam, nel 1998. Il raid americano aveva subito sollevato polemiche e interrogativi sul coinvolgimento di Tripoli con l’operazione militare, tant’è che Zeidan ha fermamente negato ogni coinvolgimento libico, ed ha insistito perché al Libi, che si trova in stato detentivo in una nave americana nel Mediterraneo, venga processato in patria.

La versione statunitense è però diversa: il segretario di Stato John Kerry ha definito legale l’operazione perché il governo libico ha tacitamente dato il consenso al raid ed ha persino offerto la testa di un altro fondamentalista, Ahmed Abu Khattala, principale sospettato per la strage di Bengasi dell’11 settembre 2012, strage che portò alla morte dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens. Alcuni alti ufficiali statunitensi hanno inoltre riferito che diversi membri del commando coinvolto nella cattura di al Libi parlavano in arabo con forte accento libico, dato che avvalora la tesi secondo cui – almeno a livello di intelligence – un aiuto locale ci sarebbe stato. I gruppi islamisti considerano al Libi uno degli eroi della resistenza anti-Gheddafi, e con la promessa di una rappresaglia hanno accusato Zeidan di essere una marionetta al soldo dell’occidente.

Aldilà dei dettagli più o meno particolareggiati sul rapimento di Ali Zeidan, in Libia al momento va in scena il più classico scontro tra milizie: dato che ogni brigata risponde unicamente al proprio referente, ogni cellula può tranquillamente fornire una prova di forza senza la benché minima presa di posizione di ciò che si avvicina di più ad un’autorità centrale. Noi occidentali la chiameremmo anarchia.

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