Il governo federale americano è in shutdown

È iniziato il conto alla rovescia per la chiusura di tutte attività federali se entro stanotte il Congresso non trova un accordo sul bilancio 2014. Obama ribadisce che non intende negoziare sotto la minaccia di un default

 

È formalmente iniziato il conto alla rovescia per lo shutdown del governo americano, la chiusura di tutte attività federali, se il Congresso non trova un accordo sul bilancio 2014 entro stanotte. Obama ribadisce comunque che non intende negoziare sotto la minaccia di una chiusura del governo o di un default.

Se non ci saranno accordi dell’ultim’ora sulla finanziaria 2014, gli uffici governativi statunitensi saranno costretti a chiudere o a ridimensionarsi notevolmente. Migliaia di lavoratori verranno lasciati senza stipendio con danni calcolabili in molte centinaia di milioni di dollari. Finora nessun compromesso appare evidente, il Senato si riunirà nel tardo pomeriggio – ora di Washington – ma non appare probabile il via libera alla legge sul badget passata domenica alla Camera. L’unica novità riguarda un testo approvato dai repubblicani in cui vengono finanziate le attività di governo, ma il nodo cruciale di tutta la legge, l’Obamacare, è stato rinviato all’anno prossimo.

La riforma sanitaria entrerà in vigore domani (oggi per chi legge, ndr) e i democratici stanno facendo di tutto per non farsi ricattare dai repubblicani che ne chiedono l’affossamento in cambio del passaggio della legge finanziaria. La situazione attuale è che non ci sia nessun margine di manovra per evitare la paralisi. Gli storici di Washington dicono che l’ultima volta era successo nel 1996 durante l’amministrazione Clinton: quella volta un colpo di coda del presidente fece cambiare gli assetti politici e la legge sul budget passò per una manciata di voti, esattamente come la fece passare Obama l’anno scorso. Stavolta però è diverso.

Anche se il Senato dovesse rimandare indietro la legge, includendo i fondi per la riforma sanitaria, e la Camera non cambiasse il testo per velocizzare i lavori senatoriali, mancherebbero comunque i tempi tecnici per riunirsi e votarla nuovamente. Oppure, altra ipotesi: il Senato approva la legge che la Camera rimanda indietro, Obama pone il veto alla nuova versione e chiede di posticipare lo shutdown di qualche giorno in modo da trovare un punto d’intesa con i repubblicani. Insomma, contorsionismi da circo.

Secondo una ricerca del Washington Post, la chiusura delle attività federali, anche se parziali, costerebbe circa 200 milioni al giorno nel solo distretto di Columbia dato che Washington ha la più alta concentrazione di dipendenti pubblici e appaltatori federali. Secondo la stessa ricerca nella sola capitale sarebbero a rischio più di 700mila dipendenti pubblici. Secondo Stephen Fuller, direttore del Center for Regional Analysis della Mason University, la paralisi peserà anche sul turismo: se saranno chiusi musei, il National Zoo e le altre attrazioni locali, cioè una buona parte degli introiti della regione, le ripercussioni saranno notevolmente maggiorate. Fuller tuttavia è certo che gli effetti negativi non si sentiranno subito: «l’economia non patirà molto a meno che lo shutdown non duri per tre o quattro settimane, ma per l’area di Washington è uno tsunami». Lo studioso ha comunque ricordato che il sequester, i tagli automatici alla spesa pubblica scattati a marzo scorso, hanno già provocato moltissimi danni alle casse della regione. Un esempio per comparazione: la paralisi non risparmierà nemmeno la Casa Bianca tanto che verranno risparmiati solo i principali collaboratori del presidente Obama, ma 3/4 dei dipendenti del governo subirebbero un forte colpo. Si calcola che circa 436 impiegati saranno esclusi o dispensati dalle loro funzioni, mentre i restanti 1.265 lavoratori della Casa Bianca saranno congedati una volta che avranno concluso le attività necessarie per chiudere il loro uffici. In caso non passasse la legge, Obama potrà contare solo su 129 impiegati, il vicepresidente Joe Biden invece avrà a disposizione 12 impiegati per i suoi obblighi costituzionali e solo una persona impiegata nella sua residenza.

Ma non è finita. La legge sul budget è solo una delle tante controversie tra Rossi e Blu: a breve Obama dovrà chiedere al Congresso l’innalzamento del debito, fermo a 16.700 miliardi di dollari. Se il Campidoglio dovesse negarlo gli Stati Uniti si troveranno immediatamente in default perché non sarebbero in grado di far fronte ai creditori. Settimana scorsa il Tesoro ha fatto sapere che i fondi si esauriranno il 17 ottobre, dopo quella data è assolutamente necessario l’innalzamento del debito per poter andare avanti. Anche in questo caso è scontro tra democratici e repubblicani, con questi ultimi in netto vantaggio data la maggioranza al Senato. Il GOP darebbe l’ok a patto di tagliare drasticamente la spesa pubblica, a cominciare dall’Obamacare. Il presidente ha già detto molte volte di non voler negoziare sul tetto del debito specialmente se c’è a rischio la riforma sanitaria.

Domani, probabilmente, sapremo se gli Stati Uniti sono ancora in affari o sono falliti. Per breve tempo, naturalmente.

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