Idomeneo di Mozart al teatro Bellini per il festival Magie Barocche

 Diretta da Claudia Patanè, l’opera del salisburghese riapre le porte del tempio cittadino della musica con le voci di Daniela Schillaci e Josè Maria Lo Monaco.

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Quando Wolfgang Amadeus Mozart diresse la prima di Idomeneo Re di Creta, nel teatro del Principe elettore del Palatinato Carlo Teodoro di Wittelsbach, la sera del 29 gennaio del 1781, le cronache private della nobiltà presente narrarono che una coscia di fagiano gli fu gettata addosso da un palchetto: forse perchè il venticinquenne si dava molte arie, o forse per una allusione sessuale ai suoi gusti o interessi (le due cantanti protagoniste, Dorotea ed Elisabetta Wendling, pare godessero entrambe le sue grazie: in una piccola corte si sa tutto). Dopo duecentotrentanove anni, al direttore d’orchestra che nella afosa serata di domenica 6 settembre ha diretto, al teatro Bellini di Catania (sì gentili lettori, siamo tornati al Bellini: dopo sette mesi, dalla prima di Carmen ed in barba all’ancora incipiente covid o “covìddi”), la brava ed elegante Claudia Patanè, sono stati donati dei fiori. A lei ed alle altre protagoniste.

Organizzato dal Festival Magie Barocche del Val di Noto, cartellone che giunge quest’anno alla decima edizione, ideato dalla creatività del professore Antonino Marcellino (presente e sapiente curatore della serata), “Idomeneo Re di Creta”, opera seria in italiano composta dal salisburghese in quel fecondo 1780, è tornata al teatro Bellini dopo anni di assenza. Memoriamo  personalmente una edizione del 1991 nel nostro tempio lirico: e sono anni che tale opera il cui splendore sintattico musicale è indiscutibile, uno spartiacque nella produzione come nella vita artistica di Mozart, viene ripresa dopo l’oblio che la coprì per circa un secolo e mezzo che seguì le prime due rappresentazioni (la seconda, in forma concertata e sempre diretta dall’autore, è del 1786 a Vienna).    Si diceva che fu l’occasione, anche se l’opera non era organizzata dal Bellini (che però ha collaborato con il coro e la orchestra e la assidua presenza del Direttore Artistico Maestro Fabrizio Maria Carminati, attento ai dettagli), per tornare in teatro, pur se afflitti dal clima ancora estivo, dopo il blocco sociale dovuto alla emergenza epidemica. Era necessario, indispensabile esserci, ad onta dei distanziamenti delle poltrone, della non numerosissima presenza dei convenuti, della stranezza della situazione (abituati come siamo alla socialità di massa che il teatro d’opera impone), alle mascherine: ma aggiungiamo che il direttore di sala ed il personale del Bellini seppero districarsi con l’attenzione e la bonomia tipica della nostra città, per gestire al meglio il flusso dei presenti e farli sentire a loro agio.

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La trama di Idomeneo, nata dal libretto dell’abate Varesco facente parte della corte dell’Arcivescovo di Salisburgo Gerolamo Colloredo (da cui Mozart era remunerato) è tipica delle opere barocche: ma proprio nelle lettere scambiate dall’onnipresente padre Leopoldo con Wolfango, per strutturare un libretto ampolloso che dovette essere scorciato più volte, si nota la volontà di evasione psicologica del giovane, il quale finalmente approdato alla corte di Carlo Teodoro, la cui orchestra di Mannheim egli tanto ammirava, voleva spingersi a superare la maniera metastasiana per liberare quelle energie che sarebbero poi sbocciate creativamente nell’incontro col Da Ponte. Era tornato da un soggiorno in Parigi infruttuoso dopo i successi di fanciullo prodigio (“la scimmia ammaestrata” dicevano, non Salieri a cui si attribuisce, che invece lo amò molto): la stessa Parigi la cui Loggia massonica “le nove Sorelle” Maestro Venerabile Lalànde, aveva accolto in quei giorni  Voltaire  ottuagenario, non si era accorta -e come poteva, nel clima denso dei filosofi rivoluzionari…- dell’ex bimbo prodigio: egli era stato però raccomandato dal Barone Von Gemmingen (che poi lo porterà alla affiliazione massonica nel 1784) e finalmente alla corte di Monaco di Baviera (dove pure esistevano delle Logge: molti ne erano parte, come il musicista Wendling fratello delle predette due cantanti ). Ma  la figura del Re cretese il quale per non morire fa voto a Nettuno di uccidere il primo che vedrà e incontra il figlio Idamante, la rivalità tra Ilia ed Elettra, la scenicità di Nettuno non sono altro che simbolismi i quali possono da noi leggersi a priori, come è giusto, prodromi del Mozart a breve massone: od a posteriori, au revèrse nella filiazione identica. Vero è che -questo suonerà strano a molti- persino l’Arcivescovo Colloredo, uomo illuminato (era tra i componenti della setta di Weishaupt) che prese letteralmente a calci il nostro, aveva promosso delle logge massoniche: è altrettanto vero che il giovane in quegli anni era in fase creativa ancora da digrossare, come avverrà a breve. E molto scapestrato nei comportamenti privati. Criticò il soprano castrato Vincenzo Dal Prato primo interprete di Idamante (poi la parte venne cambiata per tenore), il suo Idomeneo (Anton Raaf) non lo convinceva.

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Riguardo l’Idomeneo appiè dell’Etna, per la regia di Guy Montavon, diciamo subito che -il piatto piange specialmente a Catania e non si possono fare miracoli, neanche tentarli- seppure qualche oggetto scenico fu del teatro di Plzen in Repubblica Ceca (dove da tempo il Maestro Patanè dirige e miete successi) , l’opera che durò due ore e quindici minuti senza alcuna interruzione (sono tre atti), è stata in forma ascenica: ovvero ben lungi dalle strutturazioni degli altri teatri italiani, dalla Scala in poi. Ma qui non si poteva fare. E siamo comunque contenti che si sia svolta seppure in forma essenziale, perchè l’ossatura di Idomeneo sono le voci l’orchestra e il coro: quello il cardine, il resto è fasto, in certi momenti non necessario. Giungendo alle voci, l’Idomeneo di Philippe Castagnier è stato convincente: buona voce seppure non conosciuta al di fuori del suo ambito, il tenore canadese si è abilmente districato nella interpretazione di un personaggio complesso e dalle amplissime doti vocali, con una resa timbrica non alta ma tale da reggere il ruolo.  L’aria famosa “fuor del mar”  è stata da egli retta con equilibrio. Idamante, che è scritta per parte maschile o castrata, in questo caso ha visto il noto mezzosoprano Josè Maria Lo Monaco: già la apprezzammo due anni fa al Bellini in Adelson e Salvini. La sua voce bruna e la fisicità mascheratamente ambigua, le resero facile il personaggio, soprattutto per la voce pastosa, ben costruita, abile. Ella non è propriamente voce barocca ma sa le vie adatte per rendere appieno il ruolo che interpreta. Puramente barocca invece la Ilia di Maria Grazia Schiavo, soprano napoletano che da Haendel alle ricercatezze della scuola partenopea settecentesca ha fatto una espressione precipua della sua cesellata vocalità: e se l’anno scorso Idomeneo dato a Palermo vide Carmela Remigio -voce soave- in questo personaggio, la Schiavo ha reso la sposa finale di Idamante con coloritura tersa, equilibrata, senza errori. A parte una o due scivolature, buono l’Arbace del tenore, con bassi scuri da baritono,  Diego Godoy; bravo anche Andrey Andreychik nel ruolo non solo vocale ma scenico di Nettuno, quasi una eco del successivo Sarastro, nello scioglimento finale della trama: regnerà Idamante, “vince l’innocenza”, come la fine di Zauberflùte.  Volutamente recensita per ultima la Elettra del soprano Daniela Schillaci: la sua “vendetta e crudeltà” appassonata, intensa, la vocalità cresciuta e sempre curata, gli acuti più squillanti e decisi della cantante di Paternò e lietamente tornata al Bellini, hanno  entusiasmato il pubblico che le tributò notevoli applausi.  Voce verdiana rossiniana e belliniana, Daniela Schillaci ha anche nel recitativo fatto ricordare la Regina della Notte ed ha saputo, o potuto, avere lo spazio scenico che le è congeniale.

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 Infine la direzione di Claudia Patanè: sicura, senza risparmio, ella crede in ciò che fa. Nei tempi in cui essere direttore d’orchestra è (anche) donna, sulla scia di Speranza Scappucci, Beatrice Venezi ed altre, la giovane Claudia Patanè è brillante stella del panorama orchestrale internazionale orgogliosamente di “razza” siciliana.  Da apprezzare il suo impegno poiché nelle occasioni del ritorno nella terra nativa emerge quanto esso possa risultare avanzato. Al clavicembalo sulla scena, il Maestro Gaetano Costa. Coro del Bellini e parte della orchestra, quella adatta all’opera, sicuri e luminosi come sempre, una garanzia per chi partecipa agli spettacoli con loro.  Applausi anche fuori scena e finali convinti, pur se il caldo li ha raccorciati.  Presenti tra gli altri, esponenti della Legione Garibaldina coordinamento per la Sicilia e dei Rotary clubs.       E se l’opera si chiude con la disperazione di Elettra, non v’ha da dimenticare che la ancor primeva anima mozartiana si leverà nell’orizzonte azzurro  di li a breve, col trasferimento a Vienna alla corte imperiale. Il destino dell’aquila doveva fare il suo corso.

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