“Hannah Arendt” al cinema per il giorno della memoria

Un evento unico, trasmesso sul grande schermo nelle giornate del 27 e 28 Gennaio, per ricordare la pensatrice che ha spiazzato il mondo.

Il giorno della memoria, un giorno per commemorare, per celebrare e per riflettere su atrocità che per i restanti 364 giorni, seppur con dinamiche e toni differenti, continuano a perpetuarsi nella mente e nei cuori di negazionisti, nostalgici ed emulatori di uno dei periodi più bui della storia. Il cinema, con la carica evocativa che lo contraddistingue, contribuisce a ricordare lo scempio dell’Olocausto attraverso “Hannah Arendt”, il film di Margarethe Von Trotta, trasmesso per soli due giorni nelle sale italiane, il 27 e 28 Gennaio. Campione d’incassi in Germania, e trasmesso in anteprima in Italia durante il Bif&st di Bari, la pellicola racconta la storia della filosofa ebrea, scappata dalle angherie della Germania nazista, per rifugiarsi negli Stati Uniti, insieme al marito e alla madre. Qui arriva il riscatto: inviata del New Yorker in Israele, si ritrova a documentare in presa diretta il processo contro il funzionario nazista Adolf Eichmann. Dalla controversa vicenda, un libro che ha scioccato il mondo, “La banalità del male”. Uno scandalo di dimensioni globali che procurarono alla Arendt non poche minacce – come è rappresentato nel film. Un testo unico, irrinunciabile, entrato nella leggenda come pietra miliare della letteratura mondiale. Tra le sue pagine, la demonizzazione del nazismo, attraverso il mediocre Eichmann, studiato e osservato al tempo del processo di Gerusalemme, emblema di un impersonale quanto terribile volto di una dittatura, feroce e devastante. Le accuse al libro però nascono dalle critiche che la scrittrice scagliò contro l’inattivismo di molti leader delle comunità ebraiche, a suo dire collusi con frange del terzo Reich. È proprio su tali veementi accuse che la Von Trotta punta l’obiettivo, aggiungendo risvolti forse risaputi per gli storici ma ignoti al grande pubblico.

Afferma la Arendt: “la mia opinione è che il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida, come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità. Solo il bene ha profondità e può essere integrale”. Nel giorno della memoria, un film rivolto a tutti, che adotta un linguaggio comune, senza sminuire la complessità di una tematica ostica e spinosa. Se dopo una filmografia sconfinata e fiumi d’inchiostro spesi sulla Shoah, il film della regista tedesca contribuisce a riaccendere l’interesse sulla personalità di una tra le donne più celebrate del secolo scorso, ben vengano le critiche  purché costruttive.

La pellicola si presta al dibattito, alle discussioni sulla filosofa e scrittrice ebrea che indaga su un tema – quello del male – che affonda le sue radici ad un livello antropologico e si estende a quello della quotidianità, a quello dei rapporti interpersonali. Non è necessario ricorrere ai massimi sistemi della vita per scoprire che il male esiste. Basta soffermarci, riflettere e  indagare su noi stessi: siamo sicuri che ad alimentare la fiamma dell’odio non contribuiamo in prima persona con gli atteggiamenti di indifferenza, estraneità e disinteresse dietro i quali ci trinceriamo? “Hannah Arendt”, un film diretto e schietto, può piacere o non piacere ma comunque da vedere.

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