Hacker catanesi nel filone Oculus del caso Parma Calcio

Per l’avv. Vincenzo Franzone, che difende gli inquisiti catanesi, una ‘linea difensiva complessa’ da studiare per le gravità delle accuse. Un giro internazionale di hackeraggio sul caso Parma Football Club che parte anche da Catania.

 Non solo calcio nel caso del Parma. Nuovi e pesanti scenari nell’orizzonte dello scandalo italiano che non parla di solo calcio, ma di una vera associazione a delinquere di ‘stampo hacker-mafioso’, e nel giorno in cui il Tribunale di Parma ha decretato il fallimento del Parma Football Club con la nomina dei curatori fallimentari, Anedda e Guidotto. Le tante responsabilità di Tavecchio che ‘non poteva non sapere‘ e che hanno lasciato il Catania Calcio in serie B a dispetto di una situazione finanziaria del Parma magistralmente disastrosa. 

Primo caso in Italia dell’applicazione e conferma della custodia cautelare dalla recente entrata in vigore del reato di autoriciclaggio (1.1.2015).

 Si è concluso nel frattempo l’interrogatorio di garanzia degli indagati per reati di peculato, associazione a delinquere, frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, riciclaggio ed auto riciclaggio aggravato dal metodo mafioso, Giampiero Manenti, proprietario della società sportiva Parma Calcio, finito in carcere su richiesta della Procura di Roma per concorso in tentativo di reimpiego di capitali illeciti.

Il blitz della Guardia di Finanza ha portato all’arresto oltre che di Manenti, anche di altre 21 persone tra i quali tre catanesi. Tutti indagati per reati di peculato, associazione a delinquere, frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, riciclaggio ed auto riciclaggio aggravato dal metodo mafioso. Arresti e perquisizioni sono state effettuate in diverse città italiane su provvedimento della Procura di Roma. In manette anche alcuni dipendenti della Ragioneria dello Stato.

Il primo filone, denominato “GFB”, ha fatto luce sull’opaca gestione di un fondo di oltre 24 milioni di euro stanziato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per la liquidazione coatta amministrativa di una “Gestione Fuori Bilancio” denominata “particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della Città di Palermo”, istituita nel 1988 per realizzare alcune urgenti opere di urbanizzazione in Sicilia. 

Il secondo filone investigativo, denominato “Oculus” ha consentito di individuare una pericolosa organizzazione criminale specializzata alla commissione in Italia ed all’estero di reati di frode informatica, utilizzo di carte di pagamento clonate, reimpiego di capitali di provenienza illecita, riciclaggio e, per la prima volta dalla sua introduzione nel panorama giuridico italiano, del delitto di autoriciclaggio, aggravato dal metodo mafioso .
E sul trasferimento di credito svizzero verso un conto intestato ad una fondazione presso una banca spagnola delle due somme imponenti, (10 milioni di dollari e 30 milioni di euro), somme già trasferite ma in attesa di operazioni di consolidamento che la Guardia di Finanza è riuscita a bloccare in tempo.

Quello che è risultato oggi dagli interrogatori è che il 60 % degli introiti derivanti dalla frode andavano ai pirati informatici, il 30% alle fondazioni tra le quali molte ONLUS  eil 10% alle associazioni (come il Parma Calcio) che filtravano questi introiti caricando carte di credito false, facendo approviggionamenti con le banche, e addirittura sostituzioni di persona tramite documenti falsi prodotti con il sistema di hackeraggio.

Le menti informatiche erano i due catanesi Giuseppe Costanzo e Gianluca Cirnigliaro, il romano Rodolfo Cernuto e il cittadino rumeno Constantin Marius Boveanu ai quali era affidato il compito di accedere a server di istituti di credito e l’acquisizione illecita di capitali sotto forma di “moneta elettronica”.

L’associazione è risultata articolata, in due gruppi distinti per competenze tecniche (informatiche e finanziarie), fortemente interconnessi anche grazie all’opera di collegamento costantemente disimpegnata da alcuni compartecipi (Giuseppe Caudullo, nato in provincia di Catania e residente a Roma, Luciano Cecchini, domiciliato a Nettuno e Massimo Sannino della provincia di Napoli).

Le menti finanziarie erano invece, il calabrese Paolo Ranieri, il siciliano Giuseppe Triglio, il milanese Angelo Dionigi Augelli ed i torinesi Adelio Zangrandi Roberto Lorenzato e Massimo Carpignano ai quali, era assegnato il compito di gestire i capitali illecitamente acquisiti, trasferendoli da banca a banca ed inserendoli in circuiti finanziari apparentemente legali, con l’unico fine di renderli successivamente disponibili a tutti i consociati secondo percentuali di remunerazione prestabilite.

Lo schema, ben costituito prevedeva tre passaggi, il primo era l’acquisizione della “moneta elettronica” da parte degli hacker, i quali accedevano abusivamente a piattaforme informatiche di primari istituti bancari e sottraevano somme di denaro mediante il loro trasferimento su carte di credito clonate ovvero su posizioni bancarie estere controllate dall’organizzazione stessa. Il secondo passaggio era l’invio di questo denaro su conti intestati a fondazioni-enti di beneficienza nella disponibilità dell’associazione criminale, a titolo di apparente donazione anonima.Il terzo ed ultimo passaggio era lo scarico di tali introiti in carte di credito clonate mediante l’utilizzo di appositi apparecchi POS collegati a posizioni bancarie riconducibili alle fondazioni ovvero attraverso le procedure per l’effettuazione di “donazioni” on line.

La seconda operazione che ha riguardato il solo gruppo degli hacker, tra cui i catanesi, si è caratterizzata per la presenza, tra i vari attori, di soggetti contigui alla criminalità organizzata calabrese.

Il gruppo degli hacker ha manifestato un notevole spessore criminale: in occasione di alcune difficoltà che hanno determinato il mancato o ritardato pagamento delle somme pattuite, ha fatto ricorso a metodi intimidatori tipicamente mafiosi.

La redazione di Globus Magazine ha raggiunto telefonicamente l’avvocato Vincenzo Franzone,  difensore di alcuni degli indagati detenuti nel carcere di Piazza Lanza di Catania il quale ha dichiarato:  “In queste ore stiamo vagliando le migliaia e migliaia di pagine di cui è composta quest’indagine molto articolata. Solo all’esito di questo faticoso studio, data la complessità degli atti e la gravità delle accuse mosse, riusciremo, puntualmente, ad individuare la migliore linea difensiva da adottare a tutela dei nostri assistiti“.  

 

(fonte di riferimento web blogsicilia.it )

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