“Gli uomini mangiano i pesci”: progetto teatrale sull’ecatombe del Mediterraneo

“Venerdì 3 luglio alle ore 19.00 al Teatro Musco il reading affidato alle attrici Lucia Sardo e Simonetta Cartia”. 

Nel cuore del Mare Nostrum, culla delle civiltà, si consuma ogni giorno un’orrenda mattanza di esseri umani. “Gli uomini mangiano i pesci” è un progetto teatrale sull’ecatombe che insanguina il Mediterraneo e non ha trovato ancora una soluzione che rispetti la vita e la dignità dell’uomo.

Esempio di quello che viene definito “teatro civile”, l’atto unico per musica e voci di Anna Vinci e Giovanna Casadio, vede protagonista Lucia Sardo insieme a Simonetta Cartia. Venerdì 3 luglio, alle ore 19, al Teatro Musco le due attrici effettueranno un reading, prevista la partecipazione del regista Ivan Stefanutti. Le immagini sono di Stefano Fogato, le musiche di Jean-Jacques Lemêtre. La produzione è di  Rean Mazzone, Ila Palma, Dream Film, Funima International onlus, l’iniziativa promossa dal Comune di Catania e dal Teatro Stabile di Catania.

Due donne, Miriam e Vita, due amiche che hanno scelto strade diverse, la prima è rimasta nella sua isola di origine, l’altra vi ritorna per brevi periodi, rievocano il rito della mattanza vissuto nella loro infanzia e la vendita della tonnara, di cui le famiglie condividevano la proprietà, in un isolotto (lo scoglio) al largo di Lampedusa (l’isola). La violenza, l’ebbrezza del sangue. Ma anche il patto sacro che lega l’uomo all’altro uomo e alla natura. Oggi, che il Mediterraneo è il teatro dello sterminio dei migranti, il patto è spezzato.

Al Coro delle voci di chi parte, di chi spera, di chi brucia frontiere, affronta paure e attraversa la notte del mare, si alternano le voci delle due amiche, che ricordano il passato con sguardo stupito. Fa da contrappunto la memoria di Vita – tornata nell’isola per incontrare l’amica – che con amara ironia mette in scena, per Miriam, la retorica xenofoba della gente.

“Gli uomini mangiano i pesci”, usava ripetere il padre di Miriam. Oggi i pesci mangiano gli uomini. L’atto unico di Anna Vinci e Giovanna Casadio è anche denuncia civile, che attraverso le suggestioni dell’Isola, mette in scena legami antichi – ben oltre la parentela di sangue – e l’intreccio tra desiderio, dolore, nascita e rinascita, che dà la misura della nostra umanità.

La musica riprende il ritmo dello sciabordio del mare, che diventa onda, si ingrossa e si ritrae, e tale dimensione accompagnando le immagini delle foto in bianco e nero, mare e morte, mare e vita, irrompe nella intimità di una casa dell’isola, in una confidenza contemporanea tra donne in un tramonto di maggio, immerso nei colori del mediterraneo.

Incombe su tutto, la presenza-assenza dei naufraghi, non solo evocata fin dall’inizio del  dramma dalle parole delle donne e dal Coro, in varie lingue, le lingue dei naufraghi che raccontano l’anima di ogni esiliato, di ogni migrante: nostalgia della terra lasciata, speranza di un nuovo inizio. Incombe nella presenza del mare, che con le sue immagini, mette in scena l’eterna lotta dell’uomo con la natura, e per contrappunto rimanda a quello stesso mare dove il patto antico è spezzato. L’isola-approdo diventa isola-sogno. E chi muore e chi resta, chi ricorda e chi dimentica, chi volge lo sguardo dall’altra parte, chi infierisce e scaccia, chi allunga una mano per rendere sopportabile il dolore, che fa rinascere la speranza e ci lega gli uni agli altri. 

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