Il gala lirico alla Villa Bellini, col teatro Bellini

Premiato alla carriera il baritono Leo Nucci che ha cantato le sue romanze più note: distintosi il basso Dario Russo, entusiastica direzione del Maestro Carminati.

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Uscire dalla stretta mentale della pandemia e riprendere con la Musica, la vita di prima? A Catania si è tentato col teatro Bellini la sera del 29 agosto, nel piazzale (un tempo detto delle carrozze) del giardino intitolato al Cigno etneo, organizzando il Gala lirico, ospite d’eccezione il noto baritono Leo Nucci, considerato dalla stampa musicofila una “star” per i suoi oltre 50 anni di carriera artistica nei teatri lirici più famosi. Con il supporto immancabile del Sovrintendente del Bellini Maestro Giovanni Cultrera di Montesano, che sa curare come pochi anche i dettagli minimi dell’organizzazione, il Gala -nell’ambito del cartellone “Bellini renaissance“- ha veduto ampia partecipazione di pubblico, abbastanza attento ed interessato e non solo per la presenza di Nucci (giunto il giorno stesso a Catania dall’arena di Verona), ma anche per il programma ampiamente di brani belliniani, scelti dal Direttore Artistico Maestro Fabrizio Maria Carminati. Tra Bellini Mascagni Massenet e l’immancabile Cavaliere (e Senatore del Regno) Giuseppe Verdi , ben due ore di uno spettacolo dipanatosi dalle 21,15 sin oltre le 23, ha accompagnato l’uditorio consapevole e in parte consenziente, come si affermava un tempo.

Mettiamo subito in rilievo quel che non è andato: l’amplificazione, per molti versi inadatta sfasata e irrazionale, che ha costretto a disarmonicità gli ottoni della brava orchestra, come le folate di vento che occludevano i microfoni e un fastidioso “bzzz” durante l’intermezzo mascagniano, potevano essere evitati da una regia tecnica del tutto inesistente. Si potrebbe obiettare che all’aperto e per la disposizione longitudinale dei posti est ovest, il ritorno senza amplificazione elettrica avrebbe potuto essere minimo: ma a noi puristi, alzando gli occhi alla collinetta sud ornata da una luna quasi piena, tornavano le note -quelle sì pure, senza casse e senza microfoni- del palco della Musica che ivi ancor sta, costrutto in bronzo nel secolo XIX (il secolo della grande Musica!) ove le orchestre e le bande si esibivano nelle sinfonie e melodie senza alcun cruccio di deformare le note con strumentazione falsata, perché la melodia deve arrivare senza macchia, al cuore prima che all’orecchio.  Lasciamo stare i riflettori stile ‘cinecittà’ che neanche erano necessari.

Il programma svolto fu: Sinfonia da Norma, brani da Il Pirata, La Sonnambula, I Puritani di Vincenzo Bellini; intermezzo da l’amico Fritz di Pietro Mascagni; Dal Werther di Massenet “Pourquoi me rèveiller” e poi Verdi, col coro dei pellegrini da Jerusalem e le celebri pagine del Rigoletto. Andiamo per interpreti: dicendo subito che ottima resa vocale ebbe il basso Dario Russo, eccellenza catanese che meritatamente lavora all’estero nei teatri più conosciuti; egli  nelle pagine belliniane (“vi ravviso o luoghi ameni”; “ciel qual procella orribile” “se tra il buio” “suoni la tromba e intrepido”) diede il meglio di sé. Avevamo ascoltato e ben ricordavamo la voce di Russo in un Rigoletto del 2018 a Taormina in cui si distinse nel ruolo di Sparafucile: tornando nella città nativa non si smentisce e dimostra il suo alto livello. Passando al soprano leggero Laura Giordano (non nostra parente, della bella Palermo) che è presente in diversi palcoscenici ultimamente, la udimmo misurata nella celebre aria “col sorriso d’innocenza” , attenta nel non corrodere i filati. E’ una voce interessante ma qui v’ha da aprire la parentesi delle parti belliniane, specie riguardo il Pirata: sono difficilissime e non si può certo improvvisarle a usum delphini come ultimamente si azzarda. Non fu un caso che, trionfante Verdi, il Pirata venne ripreso negli anni ’50 del XX secolo, con le voci di Maria Callas (ma a modo suo) e soprattutto di Montserrat Caballè alla fine degli anni Sessanta. Pochi o pochissimi possono avvicinarsi alla spiritualità vocale belliniana contenuta in certe pagine, se prima non hanno l’umiltà di inginocchiarsi alla sua anima ed essere quel che lui voleva: ovvero, o Giulia Grisi o Giuditta Pasta o Maria Malibran. Il resto, è narrativa.  Del tenore Shalva Mukeria, che cantò “è serbato a questo acciaro” dal belliniano Capuleti e Montecchi e soprattutto si gettò in quella pagina di struggente poesia della morte per infelice amore, che è “Pourquoi me reveìller” di Jules Massenet, non diciamo nulla. Piuttosto, che tra i cantanti lirici di oggi (vi sono nanche giovani fuori da giri ufficiali che riescono felicemente) Juan Diego Florez può tentare di sciogliere quell’enigma che è la incomunicabilità (apparente, perché chi vuole capisce) tra uomo e donna quando vi è di mezzo un amore travagliato e sofferto che non dòmo, va verso la fine.  Ieri, erano Werther  il tenore di grazia Tito Schipa e Franco Corelli. “Demain dans le vallon viendra le voyageur, Se souvenant de ma gloire première, Et ses yeux vainement chercheront ma splendeur: ils ne trouveront plus que deuil et que misère hélas .Pourquoi me réveiller au souffle du printemps”: va cantata come una preghiera di amore versus morte perchè questo è, come il quadro di Arnold Boecklin, “l’isola dei morti”: amore infinito che ritorna, direbbe Guido da Verona in un suo romanzo, o il nulla.

Volando verso l’italica melodia del nostro Giuseppe Verdi, devesi scrivere di Leo Nucci (sul suo “Suoni la tromba ” che nei teatri del tempo belliniano e rossiniano faceva crollare il soffitto per i bis, tacere è bello): “star” e brillante artista, dicitore garbato, affabulante e simpatico, molti anni di carriera anche come corista alla Scala (ove ha senza dubbio capito molto ascoltando), è celebre soprattutto per due pagine: “largo al factotum” del Rossini e “Cortigiani vil razza dannata” dal Rigoletto, di cui ha dato oltre 500 repliche. La sera catanese dimenticato il buon pesarese amatore di ragù e donne poppute, Leo Nucci non smentì se stesso e si lanciò nel suo “cortigiani vil razza dannata” che poi diede come bis (insieme a “vendetta tremenda vendetta”): a 78 anni regge ancora bene la scena, aggiungiamo più che bene se paragonato a certi altri con metà dei suoi anni. Ma, bisogna pur dirlo, non è il Maestro Placido Domingo (suo quasi coetaneo e in questo momento in Italia ove ha trionfato alla reggia di Caserta e a Verona) Basti ascoltare “Non t’amo più” di Francesco Paolo Tosti cantata dall’uno e dall’altro per capire. Sono due mondi diversi, rispettabili, ma lo spartiacque è evidente. Infine il quartetto: al terzetto dei sunnominati cantanti per la cavatina celeberrima “bella figlia dell’amore” s’aggiunse il mezzosoprano Maria Russo la quale, pur nella brevità dell’intervento, si fece apprezzare per il suo piacevole contributo.  Non possiamo altresì che plaudire alla attenta ed appassionata direzione d’orchestra del Maestro Carminati specialmente in gran vena nel coro verdiano dei pellegrini e ispiratissimo nell’intermezzo di Mascagni.   Orchestra, coro del teatro distintisi come al solito: plauso altresì al personale tecnico che ha saputo gestire il flusso dei partecipanti senza drammi e con la consueta bonarietà, pure “in usum mascherina” (che non è, purtroppo, il film degli anni ’40 coi fratelli De Filippo).  Non tanti i minuti di applausi finali ma partecipazione per la presenza di Nucci il quale, alla fine, è stato premiato dall’Assessore al Turismo della Regione Siciliana Messina, per la carriera.  Tra i presenti, notammo oltre il Sovrintendente e signora Lisa, la pittrice Ausilia Miceli, il baritono netino Carmelo Corrado Caruso (che sullo stesso palco si esibirà il 25 settembre), esponenti dell’Ordine al Merito Civile della Real Casa di Savoja e dei Rotary clubs. Una serata informale dato il luogo ma serena, in attesa dei prossimi appuntamenti.

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