“Domani arriva il senatore. Deve stare in una stanza singola, disposizioni del primario”

Le regole cambiano se sei un senatore della Repubblica. La denuncia di una studentessa di Scienze Infermieristiche in una lettera aperta al Professor “V.” del Policlinico Umberto di Roma.

Roma: sconfortanti i dati che riguardano i tempi di attesa per prestazioni sanitarie diffusi sul sito della sanità della Regione Lazio che possono arrivare a 338 giorni per prenotare una mammografia. Se vivi a Roma e non hai un euro per curarti, puoi anche morire.

Dati alla mano diffusi dal sito della Sanità della Regione Lazio, questi forniscono tutte le indicazioni del caso. Vuoi prenotare un mammografia? I tempi di attesa variano, a seconda delle Asl di zona, sino al arrivare a 338 giorni nella Asl Roma F.

Per approfondire vedi i dati che riguardano la tua Asl: Sanità: tempi di attesa prestazioni sanitarie.

Insomma un anno d’attesa e un quadro sanitario così sconfortante che sembra pensato più per assistere alla degenerazione di qualunque patologia che per la cura e la prevenzione.

Ma attenzione, tutto questo sembra valere solo per i comuni mortali, perché se sei un senatore della Repubblica le regole del gioco cambiano
Una storia e un malcostume che si ripetono da sempre, come era già testimoniato in un’inchiesta con telefonate registrate, scritta il 28 gennaio 2006 per il quotidiano Il Tempo da Giuseppe Grifeo, direttore responsabile del Di Roma (cliccare sul titolo per leggere il testo): “In ospedale l’onorevole ha la sua corsia – Due giorni invece di due mesi l’attesa per una risonanza magnetica alla colonna vertebrale“.

Tornando al caso individuato in questo articolo, ancora oggi niente liste d’attesa nelle corsie dei super affollati ospedali romani per un membro del Parlamento:Domani arriva il senatore. Deve stare in una stanza singola, disposizioni del primario” racconta una studentessa di scienze infermieristiche del Policlinico Umberto I di Roma nella lettera aperta indirizzata alla cortese attenzione del Professor “V”.

Pubblichiamo il testo della missiva indirizzata alla cortese attenzione del citato professore appartenente al Policlinico Umberto I di Roma:

Gentile professor V.,

le rubo qualche istante del suo tempo per raccontarle una breve storia.

Sono una studentessa di Infermieristica del primo anno e al mio secondo tirocinio mi sono trovata a lavorare nel suo reparto.

Una sera, verso le 20, ho notato una certa agitazione da parte del personale. Due pazienti, senza ricevere alcuna spiegazione, sono stati spostati in stanze in cui erano presenti già altri quattro letti, mentre quella in cui si trovavano loro è rimasta vuota. Lo stato di agitazione continuava: apriamo le finestre, spruzziamo un deodorante, il nuovo letto deve essere perfetto. Il nuovo letto. Uno solo. Io non ho molta esperienza, per questo mi è sembrato naturale chiedere lumi. “Domani arriva il senatore. Deve stare in una stanza singola, disposizioni del primario.”

Perché mai il senatore dovrebbe stare in una stanza singola? Con la penuria di letti che abbiamo, tra l’altro? E perché avremmo dovuto scomodare altri due pazienti per permettere a una persona di stare in una stanza singola? Riesce minimamente a percepire la mia incredulità?
Incredulità che non ha fatto che aumentare, notando che al paziente venivano concesse visite a qualsiasi ora, nonché qualsiasi tipo di trattamento di favore. Altre “disposizioni del primario”, immagino.

Caro professore, le scrivo per dirle che mi sento profondamente offesa.

Dal momento in cui varca la soglia del reparto, il paziente per me è semplicemente una persona, ovviamente con pari dignità e diritti rispetto a tutte le altre. Cosa mi importa che nella vita faccia lo spazzino, il salumiere, l’insegnante o il senatore?

Mi trovo di fronte, sempre e comunque, una PERSONA: spesso spaventata, con mille dubbi e incertezze, turbata, fuori dall’ambiente rassicurante della sua casa. E non è forse questo uno dei doveri dell’infermiere? Far sì che la persona che entra in reparto si senta accolta, rassicurata, ascoltata, al di là di chi è, cosa fa di mestiere o del suo status sociale.

Può anche solo lontanamente immaginare l’umiliazione che ho provato nel comunicare ai due pazienti che occupavano la stanza sgomberata per far posto al senatore che avrebbero dovuto spostarsi? “Voi siete malati di serie B, dovete far spazio al malato di serie A.”
Quel compito ingrato, me lo lasci dire, sarebbe toccato a lei, professore. Non a una studentessa che non riesce a farsi una ragione di episodi del genere.

E sì, mi sento offesa. Sento che, rendendomi strumento di questo tipo di ingiustizie, lei ha sminuito la mia professionalità, l’impegno che metto ogni giorno per migliorarmi e diventare una brava infermiera.
Così come, e questo è un mio modesto parere, ha sminuito la professionalità e il duro lavoro della caposala e di tutti gli infermieri che giorno per giorno si impegnano per dare al paziente, ad OGNI paziente, le migliori cure possibili e l’accoglienza di cui parlavo.

La prego, per il futuro, di non mettermi più in una situazione tanto imbarazzante e umiliante.

La prego, con tutto il cuore, di non lasciarmi con la sensazione amara che “tutti i pazienti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.”

Cordialmente,

R. Cristofani

(Fonte: http://www.infermieristicamente.it/articolo/4655/studentessa-in-infermieristica-scrive-lettera-aperta-al-primario/)

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