Debutta il 12 dicembre al Teatro Eutheca di Roma “L’isola degli schiavi” di Ferdinando De Martin

Vendette incrociate, mascheramenti, dialoghi accesi e tante risate ne “L’isola degli schiavi” per la regia di  Federica Tatulli.  In scena il sogno  di un mondo migliore e più giusto .

 

 Debutta il 12 dicembre (e fino al 22) al Teatro Eutheca di Roma “L’isola degli schiavi” di P.C. De Marivaux, nella traduzione di Ferdinando De Martin, per la regia di Federica Tatulli  nel doppio ruolo di attrice – e con Romano Talevi (lo Scienziato pazzo di “Avanti un altro”, programma condotto da Paolo Bonolis), Giovanni Grasso, Ilaria Piemontese e Lorena Ranieri.

La commedia, resa nota in Italia dall’edizione di Strehler del’94 e rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1725, è una delle opere più illuminate del drammaturgo francese. Un veroe proprio capolavoro di comicità. Una coppia di padroni, Iphicrate e Euphrosine, e i loro rispettivi servi si ritrovano, in seguito a un terribile naufragio, su un’isola bizzarra: qui un gruppo di schiavi ribelli ha sovvertito l’ordine sociale, uccidendo o riducendo in schiavitù tutti i padroni. Come spiega ai nuovi ospiti il governatore Trivellino, sono i servi a comandare e i padroni ad obbedire; nessuno può sottrarsi a questa legge che esige, per poter “rieducare”, che i primi si scambino di ruolo con i secondi: i servi saranno liberi di vendicarsi dei torti subiti, mentre i padroni sperimenteranno quali mali si patiscono in schiavitù. Non per sempre, giusto il tempo che il cambiamento morale e la rivoluzione dei cuori si compia, facendo diventare tutti un po’ più umani.
Tra vendette incrociate, mascheramenti, dialoghi accesi e tante risate L’isola degli schiavi, nella regia di FedericaTatulli, porta in scena il sogno di un mondo migliore e più giusto. In un ambiente trasfigurato dal meccanismo giocoso del teatro (un’isola interamente ricostruita con tonnellate di sabbia), in un luogo e uno spazio senza tempo ma che strizza l’occhio alla realtà contemporanea (per certe allusioni alle devastazioni ambientali), il pubblico completamente immerso nella scena come in uno studio cinematografico è chiamato insieme gli attori a intraprendere una la riflessione sulla nostra condizione di uomini e sul valore della solidarietà.

Una riflessione sulla necessità, più che mai attuale, di superare la prospettiva particolaristica dietro la quale ogni individuo o gruppo sociale, religioso, culturale si trincera, e di vincere la paura e la diffidenza dell’altro da noi nell’amore e nel rispetto dell’intera umanità.

Perché in fondo, al di là delle maschere, dei ruoli, dei condizionamenti sociali, siamo tutti fratelli.E allora, se abbandonassimo i conflitti che ci portano istintivamente uno contro l’altro e adottassimo piuttosto uno sguardo “allargato” – necessario in tempi di globalizzazione, guerre, e sbarchi di migranti -, non riusciremmo forse a valorizzare e a comprendere meglio le diversità culturali, arricchendo così la nostra vita sulla Terra?

 

 

 

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