Il Covid non si può servire a tavola

Intervista a Cristina Messina ristoratrice nei tempi del virus.

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Dalla sera alla mattina i ristoratori, come tante altre attività commerciali aperte al pubblico, si sono ritrovati senza clienti, senza introiti senza speranza. Le mura di casa sono diventate per l’intera popolazione l’unico luogo dove dover fare colazione, pranzare, prendere il tè delle 5 e cenare. La violenza del virus, ha costretto le persone a limitare i propri movimenti nel “mondo esterno” , si può uscire come da ordinanza solo per motivi certificabili, per andare a lavoro o per motivi di salute, e quando pian piano nella fase II, l’umanità lentamente riprenderà a svolgere le normali attività come si potrà ritornare a frequentare i ristoranti? Adottando quali misure di sicurezza ? Si potrebbe fare come stanno già facendo in Cina, paese devastato dal Covid: all’ingresso del ristorante, obbligatoriamente, tutti di dotati di mascherina , ai clienti si misura la temperatura corporea, i dati vengono riportati su di un foglio con nome e cognome, numero di telefono, data ed orario di ingresso e di uscita, la documentazione viene inviata alle forze dell’ordine, qualora il cliente manifestasse la febbre gli è vietato l’ingresso, diversamente possono accomodarsi ai tavoli, ma non si siederanno uno davanti all’altro ma bensì di fianco, ogni tavolo deve essere ben distanziato di almeno un metro e mezzo, al termine dei pasti bisogna indossare nuovamente la mascherina e chiedere il conto. La domanda è che piacere ci sarà ad andare nei locali pubblici ? In questo specchio quasi paranormale, in questa visione da incubo i ristoratori piangono lacrime di disperazione. Tutti gli impegni, gli sforzi, le speranze, tutti gli anni di duro lavoro mangiati da un virus invisibile. Il meridione vive a tavola, il momento del convivio non è solo un modo per saziare la propria fame, ma è l’essenza del nostro modo di essere, al Sud si vive in piazza, per strada, nei locali non per l’assurdo piacere di spendere soldi, ma per la necessità interiore di condividere le proprie emozioni con la gente, di incontrare persone nuove, di sentire da bocche sconosciute i loro racconti. E’ quasi un’equazione cibo uguale passione per la vita. Il centro storico di Catania è sempre stato un teatro a cielo aperto, locali, ristoranti, pub jazz cafè, concerti nelle vie più remote, e adesso? Adesso regna il silenzio. I ristoratori chiusi in casa cercano nella loro mente una soluzione per la riapertura dei propri locali, sperando in un sussidio regionale. In questo quadro sociale chiude anche Fisharia un ristorante nel cuore della storica pescheria di Catania. Il locale agli inizi della sua storia si inventò il panino di pesce gourmet, studiando nel tempo i gusti del mercato decide di ristrutturare, con tutte le spese che ne conseguono, integrando al menù la tanto amata pasta, i fritti e dei secondi di pesce… Ma la titolare Cristina Messina, nella sua continua ricerca di quel Quid che possa far crescere la sua attività, ingaggia a Gianluca Mignemi chef scelto da e Pino Cuttaia per ilpranzo delG7. LO CHEF! E poi come una bomba atomica il Covid19 distrugge tutto lasciando solo gli eventuali debiti. Cristina Messina si racconta a noi di Globus Magazine.

Arriva Il Corona Virus e tutto rimane sospeso, cosa accadrà secondo lei adesso?

Abbiamo riaperto col delivery, aspettando le nuove disposizioni governative e le relative linee guida da seguire, ma la mia più grande preoccupazione è capire chi verrà a mangiare. La desolazione mentale e lo scoraggiamento collettivo porteranno le persone ad avere inevitabilmente altre priorità.

Crede che la paura resterà viva nelle abitudini dei cittadini o di probabili turisti ?

Si purtroppo lo credo fermamente . In molti sopratutto gli over 45/50, svilupperanno una sorta di psicosi da contagio e continueranno a rimanere a casa preferendo il delivery, considerato più sicuro, i ragazzi invece, secondo me, inonderanno la città, almeno nella fase iniziale, quindi probabilmente il panino che ha un prezzo più a misura delle loro tasche tornerà ad essere il pasto più richiesto, per questo motivo con lo CHEF stiamo studiando anche delle nuove ricette da proporre.

Nonostante le difficili misure di distanziamento che si dovranno applicare, riaprirà comunque il ristorante al pubblico?

Devo farlo necessariamente, gli ultimi anni della mia vita sono stati totalmente dedicati a questa attività. Come fosse un figlio, l’impegno non è stato soltanto economico, ma di vita. Per lavorare con il pubblico, con i clienti bisogna avere insito l’amore per il prossimo, rispettare le loro esigenze, curare e mantenere le loro abitudini, ricevere dei complimenti per le pietanze servite, è una grande soddisfazione, che talvolta appaga più del guadagno stesso. Servire professionalmente la gente e riceverne gli elogi, è un’abitudine, diciamo così, che fa crescere la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta.

Alla luce delle nuove fasi sociali, come pensa di gestire la propria attività ?

La nostra fortuna è che il ristorante è all’aperto, ma potendo disporre di pochi posti cercheremo di lavorare su prenotazione e con più fasce orarie, credo che questa forma di attenzione possa tranquillizzare i clienti, che attraverso la prenotazione avranno la certezza del numero di persone presenti nel locale. In questo tragico momento economico, dobbiamo reinventarci, uscire il coniglio dal cilindro. Non è affatto facile, i momenti di sconforto sono tanti, e non tutti gestiscono un locale all’aperto. Secondo me Catania By Night vivrà lunghi momenti di crisi, ma non dobbiamo perdere la speranza ed unire le forze con ciò che abbiamo.

Quindi dare ai siciliani ciò che la Sicilia offre?

Si, assolutamente, fiera di essere Siciliana figlia di questa terra. Vogliamo puntare ancora di più sulla territorialità del prodotto, su ricette improntate sul pesce locale e stagionale e a tutela di maggior sicurezza per il cliente stiamo cercando il modo di trasformare la cucina in un progetto semi industriale con dei protocolli di sicurezza alimentare ma sempre mantenendo il nostro prodotto artigianale.

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