La Russia vuole frammentare l'Ucraina per impedirne il collocamento nell'area di influenza occidentale
Il piano russo è semplice: frammentare l'Ucraina, aumentare le tensioni a livello regionale, impedire al paese il collocamento nell'area di influenza occidentale e non legittimare i poteri assunti dal nuovo Parlamento. Ieri Yulia Tymoshenko si sarebbe dovuta recare a Mosca per discutere con Putin del futuro dell'Ucraina. Il viaggio dell'ex premier in Russia, annunciata dal giorno del suo rilascio dal carcere, si è rivelato un bluff perché se Mosca avesse acconsentito avrebbe implicitamente riconosciuto il nuovo corso ucraino. Così invece non è: seppur ufficialmente la Tymoshenko non abbia nessun potere per negoziare la crisi a nome del popolo ucraino, ha piazzato i suoi più fidati uomini al vertice delle istituzioni (Oleksandr Turchynov è il presidente provvisorio e Arseniy Yatseniuk l’attuale primo ministro). Putin ovviamente è contrario a tutto questo, e l'ha fatto capire perfettamente non accettando Yulia Tymoshenko quale portavoce ufficiale di Kiev.
Il nodo scorsoio tra Russia e Ucraina resta la Crimea, l'unica regione della zona a prevalenza etnica russa. Per questo motivo Mosca vuole assolutamente il controllo della regione con la scusa, e la minaccia, di proteggere gli interessi del Cremlino in loco. Ma è un paravento: il primo ministro Dmitry Medvedev ha appena licenziato un decreto per la costruzione di un ponte sullo stretto di Kerch, lingua di mare di cinque chilometri che separa la Crimea dalla Russia. La struttura costerebbe tre miliardi di dollari, ma Mosca è disposta a tutto pur di erigere un muro tra loro e gli altri.
Ieri sera è stata segnalata un'agenzia in cui Putin dava un ultimatum alle forze ucraine di abbandonare l'area entro l'alba di oggi; in caso contrario la flotta russa sul Mar Nero, che ormeggia nel porto di Sebastopoli, avrebbe attaccato in massa. A diffondere la nota è stato il ministero della difesa di Kiev, tuttavia Mosca ha smentito repentinamente la notizia confermando però che nell'aria aleggia quel filo di tensione non ancora sopito: se Kiev denuncia l'aggressione russa, Mosca si difende sostenendo che la Russia vuole frammentare l'Ucraina per impedirne il collocamento nell'area di influenza occidentale dei connazionali in Crimea.
Un botta e risposta infinito che fa il gioco degli estremisti e dei golpisti.
L'unica certezza finora rilevata è che la Russia non vuole la secessione della Crimea; tutt'al più si nota come Mosca stia facendo di tutto per innervosire Kiev, in modo che lo scontro armato - e quindi la Crimea alla Russia - sarebbe la logica contropartita. Lo si capisce anche dal referendum che i cittadini della Crimea andranno a votare a fine marzo, nel quale non si chiede - come potrebbe sembrare - l'indipendenza dall'Ucraina, bensì una maggiore autonomia. L'obiettivo principale è una sorta di conflitto congelato per continuare con la spina nel fianco dei rivoluzionari ucraini, in modo da rivendicare quanto più possibile nel tavolo dei negoziati. Nel frattempo Putin ha accettato la proposta tedesca di istituire una missione di monitoraggio della zona sotto l'egida dell'Ocse, preludio, forse, di una possibile trattativa.
Tutto lascerebbe quindi presagire una Russia forte dal punto di vista negoziale, e un Occidente - compresi gli Stati Uniti - debole più del dovuto e a corto di soluzioni. Di contro il Cremlino è costretto a fare i conti con la volubilità dei mercati, che oggi sono pesantemente al ribasso dopo lo scombussolamento ucraino. La crisi dei Balcani ha sotterrato gli indici di Borsa di Mosca che ieri ha perso più di dieci punti; colossi come Sberbank e VTB, prima e seconda banca del paese, hanno segnato un crollo di quattordici e diciassette punti. Quattordici sono invece i punti persi da Gazprom, colosso dell’energia legatissimo allo Zar Valdimir. Anche il Rublo ha avuto notevoli contraccolpi, segnando il minimo storico sul dollaro accentuato anche dalla riduzione del programma della Fed sugli stimoli all’economia americana, che ha colpito tutti i paesi emergenti e le loro rispettive valute.
Il collasso degli indici di Borsa russi fa il paio alla flessione economica in atto in tutto il paese. I consumi interni ristagnano, i capitali degli oligarchi russi fuggono all'estero e il Pil ha registrato l'ennesimo rallentamento degli ultimi mesi. In pratica sembra che la strategia di Putin sull'Ucraina abbia più costi che guadagni; inoltre, sul fronte ucraino, si registrano le prime avvisaglie di irrequietezza anche nelle regioni dell’est e del sud, dove i sentimenti filo-russi sono storicamente più marcati. Sui tetti dei governatorati di Odessa e Kharkhiv sventola il tricolore russo; a Donetsk, la roccaforte elettorale di Yanukovich, gli attivisti anti-Maidan hanno preso d’assalto la sede del governo regionale rifiutando la recente nomina al vertice dell’esecutivo locale dell’oligarca Sergei Taruta e, addirittura, auspicano un referendum simile a quello che si terrà in Crimea nei prossimi giorni. Non è bastato nemmeno la nomina di Igor Kolomoisky, numero uno di PrivatBank, principale istituto di credito del paese, a governatore della regione di Dnipropetrovsk per sopire gli insorti filo-russi: nemmeno gli oligarchi schierati con Janukovič hanno più il loro peso specifico rilevante.