Condannati a morte i quattro che stuprarono e uccisero Nirbhaya

Una Corte indiana ha condannato a morte i quattro che stuprarono e uccisero la 23enne Nirbhaya, simbolo della protesta indiana contro la violenza sulle donne 

Il 16 dicembre 2012, a bordo di un bus di Delhi, in India, cinque ragazzi più l’autista del bus abusarono sessualmente di una studentessa 23enne, ribattezzata successivamente dai media Nirbhaya (Colei che non ha paura), lasciandola in fin di vita fino al 23 dicembre dello stesso anno, data in cui morì all’ospedale di Singapore per le gravi ferite riportate nello stupro di gruppo.

Venerdì scorso un tribunale indiano ha condannato a morte quattro di loroMukesh Singh, Vinay Sharma, Akshay Thakur e Pawan Gupta. Un quinto imputato, minorenne al momento dei fatti, è stato condannato il 31 agosto a tre anni di riformatorio, la massima pena prevista dal codice penale indiano per i minorenni. L’autista dell’autobus, Ram Singh, considerato l’ideatore dell’assalto, si è suicidato in carcere il 10 marzo scorso ma la sua famiglia non crede alla versione delle autorità.

Lo stupro e la morte. Nirbhaya era una giovane studentessa del settore paramedico all’università di Delhi; il 16 dicembre, assieme al fidanzato, stava rientrando dal cinema in un quartiere a sud della metropoli indiana, ed insieme salirono su un autobus privato per tornare a casa. A bordo del bus si trovavano anche i sei accusati che, dopo aver immobilizzato e malmenato il ragazzo, si abbandonarono in modo selvaggio a disumano nei confronti della giovane. Agli atti si dichiara che fu utilizzata addirittura una sbarra di ferro. Dopo lo scempio i due giovani furono abbandonati seminudi sul marciapiede di una strada. Sette giorni dopo, il 23 dicembre, Nirbhaya morì in un ospedale di Singapore per la gravità delle ferite riportate.

Un caso internazionale. L’orribile vicenda di Nirbhaya ha scosso la società indiana dall’interno ed ha fatto esplodere quella internazionale. Il fattore mediatico mondiale ha contribuito, almeno in parte, ad abbattere il muro di omertà che continua ad esistere ancora oggi in India sul tema della violenza sessuale contro le donne, comprese quello su bambine in tenera età. «Ad aprile il governo ha approvato nuove leggi contro gli attacchi con l’acido, lo stalking e il voyeurismo. Ma lo stupro all’interno del matrimonio non è ancora considerato un crimine, se la moglie ha più di 15 anni. E le forze di sicurezza continuano a godere dell’immunità giuridica per le violenze sessuali» scrive Amnesty international ribadendo che la pena di morte non risolve affatto il problema perché «i casi di violenza sessuale contro le donne sono ancora comuni in tutto il paese».

Giustizia è fatta. Alla lettura della sentenza la gente fuori dal tribunale ha festeggiato gridando “Giustizia, giustizia!”. Il difensore dei quattro imputati ha comunque reso noto che faranno ricorso all’Alta Corte di Delhi. Anche se condannati da un tribunale speciale, hanno diritto di ricorrere all’Alta Corte e alla Corte Suprema: se riconosciuti colpevoli verranno impiccati.

La disperazione dei disadattati. Qualche giorno fa, sul quotidiano britannico The Guardian, Jason Burke ha cercato di far luce sui quattro condannati, spiegando come l’apparente crescita economica indiana ha lasciato in realtà molte persone ai margini della società.

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