Brillante “Adelson e Salvini” apre la stagione lirica del teatro Bellini di Catania

In occasione del 183° anniversario della morte di Vincenzo Bellini 23 settembre, il tempio della musica catanese ha scelto di aprire la stagione lirica con l’opera prima del compositore nostro conterraneo, ovvero “Adelson e Salvini”

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In occasione del 183° anniversario della morte di Vincenzo Bellini 23 settembre, il tempio della musica catanese ha scelto di aprire, dopo la pausa estiva, stagione lirica con l’opera prima del compositore nostro conterraneo, ovvero “Adelson e Salvini”: ci si aspettava massiccio concorso di pubblico dato l’evento, molto probabilmente il caldo umido e anche le mutazioni della società, nonostante il successo della rappresentazione, non hanno riempito il teatro che sin dal secondo ordine dei palchi, come anche parzialmente in platea, risultava non gremito di quel pubblico che il solo nome di Bellini, fino agli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, assicurava senza il menomo sforzo. Eppure la gestione del Teatro ha messo in campo ogni misura per rendere possibile la partecipazione, fino ai biglietti a costo ridotto per varie categorie: e però, oltre il pubblico ufficiale che deve esserci ad ogni prima e che comunque è stato presente ed ha notevolmente apprezzato l’opera, non si è riesciti nell’obiettivo di riempire sino all’orlo il teatro, come accade in altre occasioni per opere “popolari”, quali quelle verdiane o rossiniane.

“Adelson e Salvini” fu il primo debutto del ventitreenne catanese, allievo del Conservatorio di San Sebastiano in Napoli ed ivi rappresentata in quel teatrino nel febbraio 1825 (dopo i giorni di lutto per la morte del Re Ferdinando I, regnando da poco Re Francesco, già presunto carbonaro -e carbonaro era stato salvo poi pentirsene, lo stesso Vincenzo, con l’amicissimo di Sempre Francesco Florimo- ), su libretto dell’allora popolare Andrea Leone Tottola (che scriveva per Rossini e Donizetti); opera non originalissima, dato che già nel 1816 con testo del medesimo Tottola e musica di Fioravanti, aveva esordito sempre a Napoli al teatro dei Fiorentini. Bellini tuttavia, da quell’allievo sensibile alle novità e geniale che prometteva di essere, oltre le speranze del maestro suo Zingarelli, ricettivo sia ai successi del Rossini (che sempre amò) e delle onde beethoveniane che provenivano da oltre le Alpi, volle musicare la sua unica opera semiseria la quale ebbe notevole successo, tanto da essere replicata per tutto quell’anno ogni domenica. Del riscontro positivo di essa è testimone Gaetano Donizetti, che in quei giorni a Napoli, assistette alla prima e fu sempre obiettivo verso il nostro biondo Catanese. L’Adelson nella versione originale (come in quella di Catania di oggi) è in tre atti, cantata da personaggi tutti maschili en travesti nei ruoli femminili (cioè castrati, allievi del Maestro Crescentini) e altri colleghi di Vincenzo del Conservatorio.  La sinfonia di apertura è riconoscibile, come è stato notato, perchè sarà quella famosissima del successo del “Pirata” poco tempo dopo: non secondario motivo per cui Bellini non riprese più Adelson; anche l’aria “Dopo l’oscuro nembo” fu poi trasposta nei Capuleti e Montecchi con altre parole.

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Ricordiamo che sin dal 1819 e fino al 1826 Bellini, essendo di famiglia indigente, godette di una “pensione” (oggi si direbbe borsa di studio) pagata dal Comune di Catania onde conseguire gli studi musicali (ma non per involarsi, come poi fu felicemente, nei cieli dell’Arte: con campanilistico ma ovvio egoismo e come si può leggere nel testo della delibera della deputazione firmata dai Patrizi, con a capo il Principe del Pardo, egli era sostenuto perchè un giorno potesse ricoprire il posto di Maestro di Cappella del Duomo catanese, “come fu dell’avo D.Vincenzo Tobia e del Sign. D. Giuseppe Geremia”: ma così non accadde, per la gioia dell’Arte mondiale…). Aggiungiamo che Adelson, scritta nel 1824 da Vincenzo Bellini nominato da poco “maestrino” (il che finalmente gli permise di avere stanza da solo e, cosa tanto ambita, un pianoforte per conto proprio: che ovviamente acquistò a rate in uno con Florimo…) fu opera che l’innamorato Vincenzo intendeva far valere nelle ragioni del suo idillio (poi assurto a leggenda e celebrato in libri e films) con la ventenne studentessa napolitana Maddalena Fumaroli: ma l’ottuso padre magistrato non volle sentire ragioni e si oppose comunque alla richiesta di matrimonio dell’ardente catanese, condannando la figlia all’infelicità (salvo anni dopo pentirsene e far sapere la disponibilità: ma allora fu Bellini, già “drogato” da amori folli e sensualissimi come la Turina ed altre, che non volle più sentirne parlare). Codesti i motivi per cui “Adelson e Salvini” rappresenta un passaggio importantissimo per la vita di Vincenzo Bellini (che ripetiamo, un tempo tutti i catanesi, dal barbiere al deputato, conoscevano a memoria quasi in venerazione: oggi, si è visto il risultato…): l’opera non venne più ripresa dal nostro, seppure alla fine degli anni Venti del XIX secolo egli chiese al Florimo una rimaneggiamento, donde venne scritta una seconda edizione in due atti mai più data fino al 1992, quando il musicologo Domenico De Meo la rielaborò e la si allestì sempre a Catania; come Catania nel 1985, auspice l’Università ed il fu Professor Enrico Failla, diede nuovamente la prima edizione al Metropolitan; questa che si è allestita adesso è in collaborazione con la Fondazione Spontini Pergolesi di Jesi, che ha avuto il merito di riprenderla e portarla al successo nel 2016, per cui si utilizzarono le medesime scene e strutture, come la partitura edita da Casa Ricordi sull’autografo che si conserva al Museo Belliniano.

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L’Adelson di Catania 2018 ha avuto ampio successo nella première del 23 (circa cinque minuti di applausi lo testimoniano; anche se il malvezzo oramai radicato di alcuni di alzarsi e andarsene senza attendere la chiusura del sipario, è inaccettabile ma continuo), poiché opera ben strutturata e dalle voci e recitativo ottimamente curati: seppure in assenza del coro femminile (che non è in partitura, è vero: ma allora per le voci di Nelly e Fanny ci volevano i controtenori…) e considerato che le parti femminili sono state concepite da Bellini per contralto e Adelson è un basso, ha spiccato per bravura e brillantezza il tenore Francesco Castoro nel ruolo di Salvini: voce tersa, giovane, fresca, da “tenorino” come dicevasi nell’Ottocento e adatta quindi al ruolo leggero della partitura, si innesta nella trama cupa del testo con con modulata misura, distinguendosi alquanto e reggendo i tre atti, ove compare ben più degli altri.   Corposa, bassa nei gravi come deve essere, non certo fresca perchè utilizzata in una brillante carriere ma anche per questo di buon impatto, la voce basso-baritonale di Carmelo Corrado Caruso, figlio della terra siciliana che torna al Belini dopo alcun tempo e svolge il ruolo di Lord Adelson con dignità e misuratezza. La voce del mezzosoprano José Maria Lo Monaco, che canta alfine nella sua Catania città nativa dopo il debutto alla Scala e i ruoli rossiniani che le sono congeniali, è una attesa sorpresa e conferma: densa, pastosa, equilibrata ad onta della minutezza della figura fisica dell’artista, ella è a suo agio nel ruolo di Nelly, che non forza con acuti inopportuni ma modula con attenta sagacia, specie nell’aria più famosa dell’opera, “dopo l’oscuro nembo”, cantata con grande sensibilità e accenti di poesia, per ciò che significa: aria difficile che non tutti sanno interpretare, fino a chi se ne ritrae pure dopo averla eseguita.  Lode a Clemente A.Daliotti che ha svolto il ruolo di Bonifacio, il basso buffo dell’opera che recita in questo caso in lingua partenopea (una lingua arcaica anche se supportata dai sovratitoli, oggi non proprio compresa da tutti) con allegra mimica e perfetta ironia, come deve essere nella tradizione sette-ottocentesca di Napoli, il “Pulcinella” delle opere del tempo: alcune scene, come il cibarsi della pasta dalla pignatta o lo strisciare delle scarpe, non sappiamo se il regista Roberto Recchia le abbia riprese dal Felice Sciosciammocca di Eduardo Scarpetta o viceversa, ma poco cale poiché indicative del personaggio.  Bravi anche Lorena Scarlata (Fanny), Giuseppe De Luca (Struley), Oliver Purckhaur (Geronio), Kamelia Kader (M.Rivers).

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Opera di “innocenza scolastica…testo musicale corretto e spesso gradevole col piacevole candore della musica”, ha scritto nella biografia belliniana Giampiero Tintori, Adelson è stato diretto dal Maestro Fabrizio Maria Carminati, interprete donizettiano ma già aduso alla direzione d’orchestra di opere belliniane, con serenità, attenzione, serietà e coscienza “per l’amicizia e per l’umanità” potremmo dire seguendo il testo dell’opera: non comune direzione orchestrale che segue i cantanti anche dalla “buca” e li assiste per le oltre due ore di rappresentazione.  Bravo anche il regista Roberto Recchia e il coro maschile diretto dal napoletano Luigi Petrozziello.    Tra il pubblico il Sindaco di Catania On. Salvo Pogliese, diversi esponenti della media borghesia etnea, rappresentanti dei clubs Rotary, Lions e degli Ordini Dinastici della Real Casa di Savoja.      La trama di Adelson, pur nell’intreccio che a tratti diventa, ci si fece notare con grande delicatezza, difficile da seguire, è in fondo un inno all’amicizia e all’amore: “un amore forsennato che mi toglie alla ragione”, dice Salvini nel primo atto: ma quale amore può esistere, specie per un pittore, che sia sottomesso alla ratio, a rischio di estinguersi nela prosa del quotidiano? L’equilibrio si trova, quando si trova, con grande difficoltà, tra colpi di scena e alti e bassi (come la finta morte di Nelly) e frasi allusive a certe situazioni non casuali (come quella di Bonifacio che chiede per farsi capire, “lasciate il filo a piombo e il compasso” e spiegatevi meglio), fino al dischiudersi conclusivo della vicenda nella armonia (che può rammentare la frase finale del Flauto Magico) “segni con la bianca pietra ciascun la nuova aurora, giungan gli evviva all’etra, pace qui regni, e amor” nella quadratura di un cerchio che è poi, e sarà sempre, irraggiungibile Ideale.

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