“Barberia. Barba, capiddi e mandulinu” al teatro Brancati di Catania


Dopo il clamoroso successo ottenuto l’anno scorso, “Barberia. Barba. Capiddi e mannulino” verrà replicato al teatro Brancati di Catania sabato 7 e domenica 8 febbraio.

 

Massimo Venturiello è l’attore protagonista e regista di quest’opera ambientata in un vecchio salone da barba siciliano in un passato lontano , quando  si andava ‘nto varveri (dal barbiere) non solo per farsi tagliare i “capiddi” (capelli),o farisi ‘a varva (farsi tagliare la barba) ma anche per passari tempu (trascorrere del tempo). Si diceva: “ora minnuvaiu ‘nticchia ‘no saluni pi sfantasiari”. Allora, che non c’era la televisione, andare ‘nto varveri significava procurarsi l’occasione per incontrare amici o parenti, suonare o ascoltare ‘u mannulino (il mandolino), o strumenti come la chitarra, la fisarmonica, ‘u basso (il basso), il tamburello e ascoltare “storie”che non sempre poi corrispondevano a verità.
E la musica è co-protagonista dell’opera grazie alla presenza dell’orchestra “da barba” siciliana, interpretata dalla Compagnia popolare favarese che interagisce col “varveri” Venturiello, suonando, cantando ed eseguendo musiche tipiche della tradizione siciliana delle barberie.

Aggiungo che nei saloni da barba d’altri tempi, specialmente nei piccoli centri della Sicilia,  si giocava a carte e il lavoro, quel poco che c’era, si concentrava nei giorni di sabato e domenica e nei giorni che precedevano le feste.Il barbiere non aveva orari, il suo giorno di riposo era il lunedì; ecco perché c’era un detto che recitava:“’u lunedì du varveri”. E c’era chi si abbonava per un taglio di capelli al mese; in questo caso i figli dell’abbonato percepivano uno sconto fino al raggiungimento dei diciotto anni. Il barbiere, sul finire dell’anno, regalava ai clienti più affezionati piccoli calendari tascabili a colori e profumati che raffiguravano donnine mezze nude.  Dal barbiere c’era anche chi pagava con merce varia il servizio ricevuto. E c’era un altro detto: “varveri nun campa muggheri” (il barbiere con quel che guadagna non riesce a mantenere la moglie). Il barbiere di un tempo, per sbarcare il lunario, faceva anche  le punture a domicilio; era anche il confidente dei propri clienti, a lui si chiedevano consigli tra i più svariati, anche per sposare una figlia; all’occorrenza faceva anche da paciere. Nei saloni da barba si concludevano affari come la compravendita di case e terreni. Dal barbiere non si faceva lo shampoo perché non c’era l’acqua corrente e quindi neanche i lavandini. Ora tutto è cambiato e non si dice più: “’u varveri non campa muggheri”, ma si è  persa anche la poesia di un tempo.

 

a Cognita Design production
Torna in alto