Marco Pantani e l’immortale mito del Pirata

Marco Pantani e l’immortale mito del Pirata. I dubbi sul controllo alterato di Madonna di Campiglio rendono sempre attuale la figura del più forte scalatore di sempre.

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Nei giorni scorsi ha ripreso vigore sul web la notizia che il risultato del tristemente noto controllo antidoping sul sangue di Marco Pantani durante il Giro d’Italia 1999 in quel di Madonna di Campiglio sarebbe stato alterato con la tecnica della deplasmazione, semplicemente versando parte del contenuto della provetta, in modo tale da far salire il valore dell’ematocrito al di sopra della soglia consentita del 50%. Già da tempo questa ricostruzione dei fatti si era diffusa tra gli appassionati e tutti coloro che hanno seguito e amato le gesta sportive del Pirata. La coraggiosa crociata di Davide De Zan, ricostruita nel suo libro “Pantani è tornato”, riassume bene tutta la vicenda, spingendosi fino alle circostanze tuttora oscure che avvolgono la morte di Marco nel 2004. Camorra, scommesse clandestine. I reati sono prescritti, ma i tifosi di Pantani vogliono giustizia per la riabilitazione dell’atleta e dell’uomo. In tanti invocano che il Giro del 99 gli venga restituito.

Un limite del 50% “consentito” nel decennio che è passato alle cronache ciclistiche come probabilmente il più emblematico del fenomeno doping sgombra il campo da tanti dubbi. Marco era semplicemente il più forte, con buona pace dei detrattori e di tutti coloro che gli hanno voltato le spalle. Una volta distrutto l’atleta, si poteva forse salvare l’uomo. Ma, a conti fatti, oggi Pantani riposa nel cimitero di Cesenatico, mentre tutto ha continuato ad andare avanti.

Qui voglio però parlare dei miei incontri con lui nel corso degli anni. La prima volta risale al 2003, sulla salita di Sella Mandrazzi durante la tappa del Giro d’Italia che da Messina portava a Catania. Vinse Petacchi in volata su Cipollini sul lungomare della città. Ma quel gruppo di biciclette colorato che mi passò davanti al Gpm mi lasciò vedere per una frazione di secondo Marco pedalare nove mesi prima della sua morte, con tutti gli spettri che si portava dentro da ben quattro anni, durante i quali era precipitato nel tunnel della tossicodipendenza. E pensare che già l’anno dopo quel maledetto giorno di Madonna di Campiglio sulle strade del Giro e del Tour aveva continuato a dare spettacolo, sull’Izoard, sul Ventoux e a Courchevel. Ma quello che mi passò davanti nel maggio del 2003 era un uomo che aveva imboccato una strada senza uscita, strada dove l’avevano spinto in tanti. E non era una strada in salita come quelle che amava lui. Questa era una perfida discesa, ben peggiore di quelle che l’avevano visto cadere ma poi sempre rialzarsi.

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Ma i due incontri con Marco che amo ricordare sono sulle sue montagne, sulle salite che lo hanno reso immortale. Su tante salite alpine ho pedalato insieme a lui e a mio padre. Due volte però Pantani si è materializzato davanti a me. Sul Mortirolo nel 2009, e sul Fauniera, il Colle dei Morti, nel 2014. Ironia della sorte, i nomi delle due salite su cui è collocato un monumento dedicato alla sua memoria, poiché su quelle due montagne si rese protagonista delle sue imprese più grandi. Io Pantani lo voglio ricordare così, con un passo tratto dal mio libro “Dalla Sicilia alle Alpi – Sulle grandi salite del Giro e del Tour”. Non riverso per terra nella stanza di un residence, ma pedalare sorridente accanto a me lassù da qualche parte in mezzo alle nuvole.

Il monumento dedicato a Marco Pantani sul Colle Fauniera, noto con l’emblematico nome di Colle dei Morti, lo vedi già da lontano, a più di 2 chilometri dallo scollinamento. Quando arrivi in cima lo guardi in volto, e nella sua espressione trovi quasi uno sgomento stupore. E subito ti assale una grande malinconia, pensando Marco solo su quella montagna, d’inverno, la notte, con la neve, la tormenta, il ghiaccio e la nebbia, a guardare sempre quello sconfinato mare di montagne davanti a sé. Solo su quella cima, solo nella vita. La bicicletta lo ha reso immortale, e noi, pedalando curvi sul manubrio faticosamente fino alla vetta, rendiamo omaggio a ciò che Marco ha rappresentato, scalando le sue montagne anche per lui. E ti sembra quasi che Marco ti sorrida perché sei salito fin lassù per qualche minuto a fargli compagnia. Dopodiché ti volti, guardi le montagne che ti circondano da tutte le parti, respiri profondamente, e torni a valle. È stato un onore. Ciao Marco”.

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