8 MARZO: DONNE DA RICORDARE

Una ricorrenza per non dimenticare i sacrifici che le donne hanno fatto nel nome della dignità.

Le ricordiamo sempre e vorremmo ricordarle tutte.

La ricorrenza dell’otto marzo ci aiuta nel profumo di una mimosa, perché con un fiore simbolo non siano dimenticate le donne che  per tutta la vita, o col sacrificio sino alla morte, hanno difeso un valore inalienabile dell’essere umano: la dignità.

Donne che si sono fatte scudo della libertà del pensiero, che è vivere nel  rispetto di sé stessi e delle scelte altrui senza cedere a compromessi, ma lottando per i propri ideali di giustizia e di carità, o per l’amore della professione.  Sono tante le donne che in una parola hanno difeso la vita nella sua vera essenza, come  nell’assoluta dedizione ai poveri di Madre Teresa di Calcutta,  premio Nobel per la pace nel 1979, o alle popolazioni africane da parte delle tre missionarie italiane assassinate nel Burundi  a settembre dello scorso anno (Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernadette Boggian); o nello spirito di abnegazione dell’attività giornalistica da inviate di guerra, che ha visto morire sul campo Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, rispettivamente in Somalia nel ‘94 e in Afghanistan nel 2001. Morte entrambe per la verità, nell’atroce tentativo di soffocarla prima che facesse scalpore.

 Donne oggi più che mai trucidate per essersi sottratte alla brutalità del loro ex partner, spentesi con i loro sogni  o sfregiate dall’acido come l’ avvocatessa Lucia Annibali. Donne scampate ad aggressioni e testimoni coraggiose, come l’attrice Annamaria Spina, impegnata nel sociale anche valorizzando talenti. Ancora donne eccezionali, che ci osservano dall’immensità dello spazio, rappresentando l’Italia nel mondo come la brillante astronauta Samantha Cristoforetti. Un autentico trionfo dell’intelligenza e della ferrea determinazione, come per tutte coloro che, anche giovanissime, lottano per l’emancipazione culturale  nei paesi asiatici, come l’Afghanistan e il Pakistan.

Perché le donne che hanno cambiato il mondo lo hanno fatto con  la forza della mente, come sosteneva Rita Levi Montalcini, lasciandone un illustre esempio fino all’età di 103 anni. “Un’intelligenza” quella della donna “che chiede di essere ascoltata”, per dirla con la scrittrice Oriana Fallaci, come nel caso eclatante di Malala Yousafzai, insignita  a soli 17 anni del Premio Nobel per la pace, lo scorso ottobre 2014, insieme all’attivista indiano Kailash Satyarthi, secondo la motivazione del comitato norvegese “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”.

 

Una storia toccante, immortalata nel libro “Io sono Malala”, scritto dalla protagonista pakistana insieme a Christina Lamb, giornalista internazionale e corrispondente di guerra, nonché autrice di cinque libri. Dalla sofferenza della giovane, operata al nervo facciale dopo essere stata colpita nel 2012 da tre proiettili di un talebano sull’autobus verso casa dalla scuola, perché colpevole di aver reclamato sin da piccola il suo diritto di leggere e studiare, al traguardo di  essere divenuta il simbolo universale delle donne in lotta continua per il diritto alla cultura . E di aver proseguito la sua campagna attraverso il Malala Fund, un’organizzazione non profit che devolve fondi a progetti educativi in tutto il mondo.  “Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno… Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”. Nel suo discorso all’ONU a New York, nel giorno del suo sedicesimo compleanno, Malala, ricordando le scuole distrutte in Nigeria e le ragazze costrette a sposarsi in età precoce, si è appellata a tutti i governi  e a tutte le comunità, non solo per un’istruzione gratuita e obbligatoria in tutto il mondo, ma perché si garantisca libertà e uguaglianza per le donne, “combattendo l’ignoranza, l’ingiustizia, il razzismo e la privazione dei diritti fondamentali”. Tali sono infatti i problemi  da debellare per una società che possa definirsi civile, senza pregiudizi di casta, sesso e colore. Il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, ha rassicurato la giovane pakistana dicendole “….Noi siamo con te, e tu non sarai mai sola”.

Grazie a tutte, più o meno sensibili o argute: a quante hanno arricchito la nostra umanità e il nostro sapere, elevando la nostra attenzione per il mondo che ci circonda;  e soprattutto grazie a chi, come  Malala, ha capito che, al di là di ogni discriminazione sessista, dovrà alzare  ancor più la voce per affermare la dignità e il rispetto dell’essere umano, uomo o donna che sia. Ovunque e per sempre.

 

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