500 morti negli scontri in Sud Sudan

Al quarto giorno di scontri in Sud Sudan,
si registrano 500 morti e 800 feriti tra i civili

Nel quarto giorno di scontri a Juba, capitale del Sud Sudan, fonti ospedaliere parlano di almeno 800 feriti tra militari e civili, e diverse centinaia di morti, forse cinquecento. Fonti governative parlano di oltre 15mila persone costrette a rifugiarsi nella base Onu per gli scontri tra i militari che combattono per difendere o rovesciare il presidente in carica, Salva Kiir.

I combattimenti in atto nelle strade intorno al palazzo pre­si­den­ziale e in diverse zone della capi­tale, sono iniziati domenica scorsa con un presunto tentativo di colpo di stato ai danni del partito al potere, il Sudan people’s libe­ra­tion move­ment (Splm), brac­cio poli­tico dell’esercito che sotto la guida di John Garang ha com­bat­tuto con­tro Khar­toum per l’Indipendenza dal Sudan. Il presidente Kiir ha accusato del golpe l’ex vice presidente Riek Machar, licen­ziato lo scorso luglio e da quel momento a capo di una corrente di dis­si­denti all’interno del par­tito del presidente. Machar è ufficialmente ricercato e secondo alcuni ha lasciato la capitale in tutta fretta portandosi dietro “una quantità imprecisata di bestiame rubato“.

Il Sud Sudan è uno stato giovane, è nato solo nel 2011 dopo che un referendum popolare ha sancito l’indipendenza da Khar­toum; le immagini che arrivano da lì sono da far west: spa­ra­to­rie, fughe, grandi spazi, man­drie come bot­tino di guerra e cap­pelli a lar­ghe falde. Il presidente Kiir lunedì ha dichiarato in conferenza stampa che la situazione è sotto controllo, ma gli scontri proseguiti fino a ieri sembrano, invece, di tutt’altro avviso. In seguito al tentativo di golpe, ci sono stati diversi arresti tra le alte sfere politiche del paese. Tra di loro alcuni nomi illustri: l’ex ministro delle Finanze Kosti Manibe, l’ex mini­stro della Giu­sti­zia John Luk Jok e l’ex mini­stro degli Interni Gier Chuang Aluong. È invece ancora ricercato Pagan Ammum, ex segre­ta­rio dell’Splm e capo dei nego­zia­tori che hanno con­dotto la trat­ta­tiva petro­li­fera dopo la secessione da Khar­toum. Circola però la voce secondo cui il presunto colpo di stato sia una finzione architettata da Kiir per sbarazzarsi dei suoi principali oppositori.

Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha chie­sto di deporre le armi e di usare mode­ra­zione nella gestione della crisi. Il per­so­nale dell’Onu a Juba, per non sba­gliare, si è rifu­giato nei bun­ker mentre l’ambasciata Usa ha invi­tato i cit­ta­dini ame­ri­cani a lasciare il paese.

In Sud Sudan la guerra non ha mai fine: dopo la prima guerra civile sudanese durata dal 1972 al 1983, e la seconda iniziata al finire della prima e cessata con l’Accordo di Naivasha del 2005 in cui si stabilì che un referendum avrebbe approvato o meno l’indipendenza (vinsero i sì col 98%), il contenzioso, che prosegue comunque da anni, riguarda il controllo della zona petrolifera al confine con la Repubblica del Sudan in cui Juba controlla i due terzi degli impianti di estrazione.

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